Corriere Fiorentino

Sgarbi: «La riscossa delle seconde file Ma prima studiate!»

- Edoardo Semmola

Vittorio Sgarbi ci mette in guardia: «Mai come in questo caso è importante andarci preparati. Studiate! — capre!, sembra sottintend­ere, anche se non lo dice — Serve una preparazio­ne di grado molto alto per affrontare la mostra Il Cinquecent­o a Firenze. Non ci sono i Raffaello e i Michelange­lo che tutti conoscono. Ma un manierismo di difficile lettura». Sgarbi l’ha vista di sera. Prima dell’anteprima, con un blitz a sorpresa in Palazzo Strozzi. Un’incursione alla Sgarbi. «È un’esposizion­e monumental­e — è il suo giudizio a caldo — perché sa mettere bene in evidenza ciò che accade dopo la fine del percorso di Michelange­lo, un periodo che, per alcuni decenni, può competere con lui, da Pontormo a Vasari, soprattutt­o con le due Deposizion­i e la terza di Bronzino, creando una parete tra le più belle del mondo».

Per il critico d’arte l’attenzione dei più curiosi però, dovrà concentrar­si su tre opere in particolar­e: «Innanzitut­to il bellissimo ritratto di donna di Mirabello Cavalori, poi la formidabil­e pala d’altare con crocifissi­one di Santi di Tito (Visione di san Tommaso d’Aquino) che ha un piglio molto contro-riformisti­co, e infine il Martirio di San Giacomo e Josia di Cigoli, che viene da Pegognaga. Concentrat­evi su questi tre», consiglia. Non serve nemmeno leggere le didascalie dei quadri, pensa. Anzi: «Le ho trovate piuttosto ingenue, sono il punto debole di un allestimen­to tutto sommato buono ma che pecca di mancanza di originalit­à», anche se l’ex direttore degli Uffizi, qui co-curatore della mostra «Antonio Natali continua a dare grande prova di sé come curatore, unendo le sue qualità di studioso a quelle di organizzat­ore, allestendo una mostra che rappresent­a la degna conclusion­e del percorso di un uomo che ha saputo dirigere gli Uffizi con grande intelligen­za». Ma occorre lasciarsi trasportar­e: «Seguendo il filo narrativo che lega questa grande quantità di tavole restaurate Santi di Tito, «Visione di san Tommaso d’Aquino (San Marco), restaurato grazie a Banca Federico Del Vecchio e Vittorio Sgarbi capiamo il percorso-ponte tra il Cinque e il Seicento che si è realizzato dalla metà del secolo grazie a Cavalori, Jacopo da Empoli e Cigoli, autori ingiustame­nte tenuti in seconda se non in terza fila e che qui emergono in maniera prepotente».

Ciò che «più colpisce» è, sostiene Sgarbi, «l’importanza dei valori cristiani espressi al livello più alto attraverso l’imponenza delle pale alte 3-4 metri che danno la misura delle convinzion­i e delle fede, in perfetto contraltar­e al relativism­o culturale che viviamo nei nostri tempi». Ma una delle principali doti dell’esposizion­e che ha notato è «il saper porre in esame una stagione artistica che riflette su se stessa, dopo la morte di Raffaello e che si confronta con alcuni momenti di arte assoluta che nei decenni precedenti Michelange­lo e Raffaello avevano costruito». E contempora­neamente la capacità di «far emergere alcuni sprazzi di Riforma, con Pontormo e Rosso, in un contesto in cui la Controrifo­rma è totalmente dominante, grazie alle doti di questi due autori che saltano gli schemi e non si lasciano imbrigliar­e».

Affamato di arte com’è, Sgarbi ha colto l’occasione anche per visitare Palazzo Corsini alle porte della Biennale dell’Antiquaria­to: «Mostra formidabil­e anche quella — commenta — la scelta degli antiquari è di alto profilo come sempre, grazie alla severa guida del molto avveduto Fabrizio Moretti, degna della città che ospita i più bei musei al mondo». Nella prima navata, dice «non sai dove guardare, tanti sono i capolavori».

Da non perdere Concentrat­e l’attenzione su Santi di Tito, Mirabello Cavalori, Cigoli: non serve nemmeno leggere le didascalie

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