Corriere Fiorentino

FIRENZE PER THERESA (NON SON SOLO FIORINI)

- di Riccardo Saccenti

L’atteso discorso fiorentino del primo ministro britannico riguardo all’Europa si inquadra in un doppio ordine di questioni. Da un lato vi è la necessità di far compiere un’evoluzione significat­iva a quei negoziati sulla Brexit che sembrano pericolosa­mente bloccati.

Dall’altro lato c’è il problema del futuro politico della Gran Bretagna, la cui guida appare fragile in una fase in cui sarebbe invece auspicabil­e una più salda autorevole­zza. La scelta di Firenze come sede del proprio discorso da parte di Theresa May risponde anche alla volontà di tutelare gli interessi del Regno Unito nel contesto europeo, in luoghi come il capoluogo toscano dove hanno sede storiche e radicate comunità britannich­e. Vi è però un ulteriore orizzonte di implicazio­ni, forse non del tutto volute o comprese né a Londra né a Bruxelles, che sembra stridere con questi calcoli e con le alchimie politiche che li hanno prodotti. Si è opportunam­ente scritto che il capoluogo fiorentino rappresent­a la città più «anglofila» del Vecchio Continente e dunque la sede ideale per un discorso in cui il divorzio fra l’Unione Europea e la Gran Bretagna possa essere letto non come un addio radicale e definitivo. Una valenza simbolica che tuttavia appare riduttiva del valore «europeo» della città. Non si tratta solo di richiamare la Firenze dell’arte, ma quella di un umanesimo che, oltre che un movimento culturale, è una forma costitutiv­a di un universali­smo che è fra i tratti qualifican­ti dell’Europa moderna e di una Europa certamente assai più larga dell’Unione Europea. Si tratta di una Europa che ha un connotato storico secolare, nella quale non mancano tensioni e fratture, ma che ha una memoria e una sensibilit­à comuni e che non si limita alla sola condivisio­ne di modelli o forme artistiche e letterarie. È l’Europa del concilio del 1438-1439, che sovrappone le esigenze e preoccupaz­ioni di ordine religioso e politico con le relazioni di banchieri e mercanti che creano, già a partire dal crinale fra quattordic­esimo e quindicesi­mo secolo, uno spazio economico comune. E in questo spazio la circolazio­ne di fiorini è tutt’uno con quella di libri, idee, lingue, dotti e artisti. Certamente è un’Europa delle élite, che però investe e condiziona la dimensione collettiva, sia sul piano religioso che su quello politico e sociale e che vive soprattutt­o nelle città: Roma e Londra, Parigi e Colonia e anche Istanbul e Mosca. Perché l’intreccio di storia e dinamiche di lungo periodo, di cui Firenze non solo è l’icona ma in alcune occasioni è anche il centro, rappresent­a una trama di relazioni che tiene insieme uno spazio geografico e ideale che include la Russia e le sponde del Mediterran­eo. Questo carico di valori, che sono soprattutt­o morali, è come distillato in quello che Firenze evoca e rappresent­a e va al di là delle opportunit­à politiche del complicato quadro britannico o delle tese trattative sulla Brexit. Costituisc­e piuttosto lo spazio in cui le culture e le fedi sono chiamate ad assumersi il compito di costruire l’Europa, prima ancora che come formula politica, come il luogo nel quale ritrovare una comune appartenen­za storica. Al di là del semplice evento ritorna allora l’immagine biblica, evocata anni fa da Giorgio La Pira, della «città sul monte» che ricorda prima di tutto ai fiorentini stessi la funzione storica della loro città: essere il punto di saldatura di esperienze umane che hanno educato uno sguardo lungo capace di vedere lontano.

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