La città che cambia non respinge più le contaminazioni
«L’arte contemporanea in piazza della Signoria è un esempio virtuoso di arte pubblica. E le polemiche di questi giorni stanno a dimostrare che è un qualcosa di vivo, che non lascia indifferenti». La storica dell’arte contemporanea Patrizia Asproni, direttrice del museo Marino Marini, accoglie con favore lo sbarco di «Big Clay #4», l’opera in alluminio di quasi 13 metri creata da Urs Fischer, davanti alla Torre di Arnolfo. «Cittadini e visitatori vedono, si confrontano, discutono in base al proprio gusto — dice — Ed è senz’altro un fatto positivo».
L’arte contemporanea in un luogo storico. Perché è giusto?
«Partiamo da un punto. Fischer è un artista di grande livello e qualità. E la sua opera, che irrompe in un contesto storico, genera straniamento. Che provoca a sua volta due diversi effetti positivi: da un lato, si parla finalmente di arte contemporanea, dall’altro ci permette di concentrarci anche sugli elementi storici della piazza. Perché l’opera, che non possiamo ignorare, ci obbliga a una visione d’insieme diversa rispetto all’abitudine».
Ma perché proprio piazza della Signoria?
«Perché è l’agorà. È il centro simbolico, amministrativo e cittadino di Firenze. E anche se ci sono moltissimi turisti, i fiorentini ci passano. Con un’opera di 13 metri l’altro effetto positivo è che sono costretti finalmente a fermarsi».
È davvero una provocazione? Oppure ormai, con opere diverse ogni sei mesi, l’arte contemporanea sotto Palazzo Vecchio è diventata una consuetudine?
«Sì, forse sarebbe meglio dire che è una consuetudine provocatoria. Abbiamo fatto passi avanti enormi rispetto ad alcuni anni fa. Penso alla virulenza della querelle sulla statua di Vangi o per l’opera di Pistoletto a Porta Romana. Secondo me Firenze sta cominciando ad abituarsi all’arte contemporanea».
Ci si può accontentare di un dibattito estetico? Un’opera non dovrebbe suscitare reazioni anche sul suo significato?
«Il significato ce lo darà la storia. Anche il dibattito sul David di Michelangelo in piazza della Signoria, tra i suoi contemporanei, non ebbe la valenza politica e sociale che ha assunto a distanza di tempo, di secoli. “Tutta l’arte è stata contemporanea” recita un’istallazione di Maurizio Nanni. Credo che abbia ragione».
Pensa quindi che l’iniziativa vada oltre la semplice vetrina lussuosa e sia una vera fabbrica di cultura? Fischer può dare realmente una mano agli artisti fiorentini?
«Il semplice fatto che ne stiamo parlando dimostra che ingenera davvero un effetto sulla città. Firenze, grazie a queste iniziative, comincia a cambiare, avverte sempre queste opere meno come corpi estranei, tende sempre meno a respingerle».
Nello specifico, qual è il suo giudizio estetico su «Big Clay #4» di Urs Fischer?
«Non voglio giudicarla, preferisco non essere io a farlo. Fischer è un grande artista. E quel che mi interessa è che il suo lavoro aiuterà a far capire che l’arte si muove, si modifica».
È diventata una consuetudine provocatoria, ma Firenze vive meglio queste opere