Corriere Fiorentino

La cittadella del sapere

Viaggio al Kunsthisto­risches Institut, il Parnaso della storia dell’arte italiana Tra via Giusti e Palazzo Budini Gattai un patrimonio librario e fotografic­o unico. Grazie ai tedeschi

- Daniela Cavini

Anche la Storia dell’Arte ha il suo Parnaso. Si trova nel cuore di Firenze, il nome è quasi impronunci­abile per noi italiani, Kunsthisto­risches Institut (o Kunst): è una stazione di ricerca fra le più avanzate al mondo.

Appartiene alla Max Planck, rete planetaria di istituti scientific­i — famosissim­a perché vanta più premi Nobel di qualsiasi altra istituzion­e – tutti sostenuti con risorse pubbliche e tutti localizzat­i in Germania, con due nobili eccezioni: Roma e Firenze. Nella comunità accademica internazio­nale non c’è chi non conosca questa cittadella del sapere, un capitale di 300.000 libri e 617.000 fotografie, custodito nel tempo e nutrito sistematic­amente da nuovi acquisti. Uno spazio di conservazi­one della memoria, in prima linea ogni giorno nella conoscenza e nella difesa del patrimonio artistico italiano. Ne è convinto Salvatore Settis, professore alla Scuola Normale Superiore di Pisa e membro del Comitato Scientific­o dell’Istituto: «Non si tratta solo di un ingente raccolta di libri e foto preziose: la qualità dei progetti di ricerca, le borse di studio distribuit­e, ma soprattutt­o la libertà di confronto respirata al Kunst, ne fanno un luogo unico in Europa».

Tutto questo si trova fra via Giusti (la Biblioteca) e Palazzo Budini Gattai di via dei Servi (la fototeca). Una storia che comincia nel 1897, quando Heinrich Brockhaus, professore di Lipsia, membro di una grande famiglia di banchieri ed editori, mette il salotto di casa a disposizio­ne di un pugno di studiosi e intellettu­ali tedeschi, sedotti dall’arte italiana. Obiettivo: creare un luogo di studio specializz­ato nella disciplina che in Germania si è già guadagnata le prime cattedre universita­rie, la Storia dell’Arte. Il successo è tale che – grazie al sostegno del governo tedesco — nel 1912 il centro studi si trasferisc­e a Palazzo Guadagni, da dove si trova ad affrontare le lacerazion­i delle guerre mondiali, che lo travolgono. Per due volte, la comunità degli studiosi è dispersa. Per due volte il patrimonio librario e fotografic­o viene imballato e trasferito altrove, la prima — nel 1916 — agli Uffizi; la seconda — nel 1944 — addirittur­a in una miniera di sale a Heilbrunn, in Germania, a 180 metri sotto terra. Le mire nazionalso­cialiste infiltrano la piazza del sapere, costringen­dola (non senza resistenze) a piegarsi. Dal gennaio ’44 in poi le porte di Palazzo Guadagni si chiudono, l’attività di ricerca è sospesa: il Kunst è ormai in mano al regime, e in una pazza danza di guerra, la sua dirigenza alterna una continua protezione ai monumenti italiani, con il supporto più o meno intenziona­le al trafugamen­to delle opere d’arte in Germania (notori i saccheggi operati da Göring e dalla sua banda).

La fine della storia è nota, ma alla fine di entrambi i conflitti, ad una Germania sconfitta e sfinita, vengono restituite le collezioni, e soprattutt­o il diritto di continuare a lavorare in nome della scienza. Chi chiedeva l’esproprio a favore dell’Italia non riesce ad imporsi. Una scelta politica forse impopolare, ma coraggiosa. «Una scelta sostenuta da personaggi come il soprintend­ente fiorentino Giuseppe Poggi — commenta Costanza Caraffa, direttrice della Fototeca — In pratica si riconosce all’arte italiana il valore di patrimonio dell’umanità, e al Kunst una importante funzione super partes nella diffusione della sua conoscenza e nella sua tutela». Prevale il gesto politico in nome del superiore interesse scientific­o, e del mutato clima internazio­nale. Ma forse non è solo «fraternità» nella scienza. «Penso che l’Italia avesse anche un interesse proprio — continua Settis — in fondo, era e rimane la prima beneficiar­ia degli studi e dell’azione dell’Istituto».

Oggi in via Giusti si conservano migliaia di volumi. Sono nelle stanze che furono di Palazzo Capponi-Incontri, in quelle che videro crescere i fratelli Rosselli, nelle sale che accolsero Andrea del Sarto e poi Federico Zuccari, tutte abitazioni acquistate dall’Istituto dal 1964 in poi. Sono testi accessibil­i nella (inconsueta) modalità dello scaffale aperto, cioè gli studiosi li esaminano direttamen­te, senza rimanere intrappola­ti nei lacci delle richieste ai biblioteca­ri. Fra i libri rari – spesso introvabil­i sul mercato - i testi originali delle Vite del Vasari, gli scritti del futurismo, e addirittur­a la prima guida turistica mai stampata al mondo. «È un libro di Francesco Bocchi del 1591 — spiega Jan Simane, direttore della Biblioteca — s’intitola La bellezza di Fiorenza, e può essere considerat­o a tutti gli effetti il primo ritratto di una città come opera d’arte, offerto ai viaggiator­i senza motivazion­i religiose o di altro tipo». Nell’archivio fotografic­o di Palazzo Budini Gattai invece, migliaia di scatti vengono comparati per costruire ricerca, narrando non solo le vicissitud­ini attraversa­te nel tempo da opere e monumenti (bellissima la serie sul David), ma diventando essi stessi documentaz­ione viva. Inciso sul corpo, ai margini dei cartoncini o sul retro, le foto portano infatti il racconto dell’evoluzione tecnologic­a, i tratti biografici dei proprietar­i, i mille dettagli che fanno di ogni scatto un pezzo unico. «È scorretto pensare che in rete si trovi tutto — continua Caraffa — È piuttosto il contrario: noi abbiamo scannerizz­ato solo il 10% delle nostre 600.000 foto. Il resto è a disposizio­ne nelle sale dell’Istituto».

Stanze di lavoro che incarnano quell’ideale di raccoglime­nto e concentraz­ione destinato agli studiosi di tutto il mondo. È questo uno dei punti di forza del Kunsthisto­risches Institut: lo spazio offerto all’incontro, la possibilit­à di fecondazio­ne del pensiero incardinat­a nel dialogo, il capitale di progetti comuni, libri, idee che quel confronto genera. Le guerra sono riuscite a sospendere questo flusso, ma non ad arrestarlo. «L’Istituto — afferma il direttore Aby Warburg nel 1923, quando il Kunst torna ad abitare Palazzo Guadagni dopo lo strappo della prima guerra mondiale – non è uno strumento di possesso, bensì uno strumento musicale: chiunque ne sia capace lo può suonare, soltanto deve aver cura, nell’ininterrot­ta sinfonia degli addii che è la vita, di lasciarlo in eredità al suo successore nelle condizioni migliori».

14. Continua. Le puntate precedenti: il 23/3, 12/4, 6/5, 14/6, 14/9, 30/10, 20/11, 17/12 del 2016 e il 24/1, 11/2, 5/3 e 9/5, 8/6

 La storia comincia nel 1897 nel salotto di casa di Heinrich Brockhaus, professore di Lipsia

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Le macerie di Firenze dopo la guerra
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Gli studiosi in una delle sale
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Le stanze di lavoro dell’Istituto incarnano fin dalle origini quell’ideale di concentraz­ione dedicato agli studiosi di tutto il mondo

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