«Più persone sanno la verità su Lele»
Il fratello del parà morto nel ‘99 in caserma accusa. La Procura di Pisa: omicidio volontario
La lapide posta nel 2010 dal Comune di Siracusa in memoria di Emanuele Scieri, morto nel 1999 in caserma a Pisa
Quell’estate Emanuele avrebbe compiuto 27 anni. Quell’estate aveva lasciato Catania e la pratica in uno studio legale per andare a fare il militare. Allievo paracadutista alla Folgore. «Ciao mamma, sono a Pisa davanti alla Torre pendente», la sua ultima telefonata ai genitori in Sicilia. Se ci fossero stati allora i telefonini di oggi probabilmente Lele avrebbe mandato a casa anche la foto di lui in piazza dei Miracoli. Invece l’ultima istantanea che resta è quella del giuramento alla caserma Lupi di Toscana a Scandicci pochi giorni prima della fine. Emanuele che sorride tra mamma Isabella, papà Corrado e il fratello Francesco. Una settimana dopo Emanuele Scieri salirà sul pullman, con altre 68 reclute, che lo porterà alla caserma «Gamerra» di Pisa. Un viaggio che non avrà un ritorno perché Emanuele troverà la morte nei giorni di Ferragosto proprio in quella caserma.
«Prima compagnia», la destinazione che gli danno il 13 agosto quando arriva a Pisa. Quel pomeriggio le reclute si presentano a ritirare il «cubo», il corredo militare di lenzuola, cuscino e federe che viene distribuito nel magazzino di casermaggio. Alle 18 la cena e poi la libera uscita nel centro di Pisa con gli altri commilitoni. Prima di rientrare alla Gamerra Emanuele telefona a casa, parla con i genitori e con il fratello. Sono passate da poco le 22 quando i ragazzi rientrano in caserma. Emanuele, racconterà Stefano, uno dei ragazzi che era con lui in centro a Pisa, decide di non rientrare subito in camera ma di fermarsi a fumare una sigaretta e a fare una telefonata.
Che cosa sia accaduto da quel momento in poi sono solo supposizioni. L’unica cosa certa è che poco prima di mezzanotte, al contrappello, Emanuele non risponde. E non risponderà neppure per i due successivi. Per tre notti la branda resta vuota. Dove è finito Emanuele? Nessuno sembra preoccuparsi del fatto che l’avvocato, così lo chiamano, è rientrato in caserma ma poi sembra essere sparito. Passeranno quasi tre giorni prima che Emanuele ricompaia. Morto. Eppure le indagini riveleranno che in caserma ci furono due ispezioni straordinarie domenica 15 agosto proprio perché non era considerata normale l’assenza di Scieri al contrappello: la prima alle 5.30 del comandante della Folgore, il generale Enrico Celentano, la seconda alle 21.30 dal comandante del centro di addestramento, colonnello Pierangelo Corradi. Di Emanuele nessuna traccia.
Sono le 14 di lunedì 16 agosto quando quattro compagni di corso, arrivati davanti al magazzino, trovano per caso Emanuele: è lì, a due passi dalle camerate, sotto la torre per l’asciugatura dei paracadute, ai piedi della scala esterna. Il corpo è in avanzato stato di decomposizione e soprattutto è riverso in mezzo ai tavoli in disuso e ad altri oggetti accatastati. È caduto di schiena e le scarpe sono slacciate.
Arrivano subito i carabinieri che fanno servizio all’interno della caserma, poi i carabinieri della stazione di Pisa centro. Dopo il primo sopralluogo il caso sembra già chiuso: suicidio. Il magistrato di turno quel giorno in Procura a Pisa è Giuliano Giambartolomei che non va neppure sul posto. «Mi hanno chiamato e mi hanno detto che mio figlio si era suicidato — racconterà poi il padre di Emanuele piegato in due dal dolore — mi hanno chiesto se mio figlio aveva dei problemi, se prendeva psicofarmaci. Emanuele si era laureato in giurisprudenza a novembre con 106 su 110, sognava di fare l’avvocato, non aveva nessun motivo per uccidersi». Il giorno dopo la mamma Isabella, insegnante di lettere, e il papà Corrado, funzionario alle Dogane, arrivano a Pisa per dire al magistrato che sta indagando: «Nostro figlio è stato ucciso, non si è ucciso».
La doppia inchiesta — quella della Procura ordinaria e quella militare — appare subito in salita. Tra i corridoi si sussurra di nonnismo, qualcuno ricorda che durante il viaggio in pullman da Scandicci a Pisa i più grandi avessero già iniziato a prendere di mira le reclute, costrette a restare immobili per tutto il viaggio, con i finestrini chiusi e una temperatura altissima. Il sospetto che non è mai
Veterani e reclute I sussurri sugli abusi subiti dai più giovani e il sospetto che Emanuele sia stato costretto a salire sulla scala della torre da dove è precipitato
diventato verità giudiziaria è che Emanuele, quella sera, fu costretto ad arrampicarsi sulla scala della torre di prosciugamento dalla parte esterna, senza alcuna protezione, mentre qualcuno dalla parte interna gli schiacciava le mani per fargli perdere la presa. Così Emanuele sarebbe precipitato dalla torre, e dopo un volo stimato tra i sei e i dieci metri, sarebbe stato abbandonato agonizzante. Il medico legale della famiglia Scieri stabilì che «al momento della caduta c’erano delle persone presenti che si adoperarono a occultare il corpo tra i tavoli dismessi». Sul corpo c’erano diversi lividi, lesioni da compressione al piede sinistro e alle mani, incompatibili con la caduta dall’alto, provocati forse da uno scarpone. Venne affidata anche una consulenza psichiatrica per valutare se Emanuele potesse avere un’inclinazione al suicidio, subito esclusa. Le indagini non arrivano a nulla. Neppure l’appello dell’allora procuratore capo di Pisa Enzo Iannelli — chi sa qualcosa parli — servì a fare passi in avanti. E così nel dicembre 2000 arrivò l’archiviazione. «Mi arrendo — disse allora il magistrato — del resto ci sono anche i delitti perfetti, quelli che nessuno scopre. La mia opinione è che questo sia un fatto di violenza andato oltre le intenzioni. Il colpevole, se c’è, ha il volto coperto». Anche il gip del tribunale militare arriva alla stessa conclusione: omicidio doloso o preterintenzionale ma non è stata possibile l’identificazione degli autori.
Nel frattempo sono cambiate tante cose. Sono passati 18 anni, il papà di Emanuele non c’è più, la naja obbligatoria è stata cancellata, il Comune di Siracusa ha intitolato a Emanuele una strada. La Lapide in Largo Emanuele Scieri recita: «Avvocato siracusano caduto nell’esercizio del servizio militare vittima dell’omertà e della viltà dell’uomo». Quello che non è cambiato da quell’estate è il desiderio di sapere la verità. «Hanno insabbiato tutto in questi anni — dice Francesco Scieri, adesso medico urologo — abbiamo sbattuto contro un muro di omertà, sono convinto che ci sia più di una persona che conosce la verità. Mio fratello è stato vittima di un episodio di nonnismo, quella caserma probabilmente era andata fuori controllo». Su Facebook è nata una comunità di ottomila persone che chiede la verità per Lele. Sono stati loro a lottare perché fosse istituita una commissione parlamentare d’inchiesta che dopo due anni ha terminato i lavori e inviato i propri atti alla procura di Pisa. «Sono stati anni difficili — ricorda Francesco — se non avessimo avuto gli amici a sostenerci non ce l’avremmo fatta. È stato come precipitare all’improvviso in un buco nero. Adesso, 18 anni dopo, non abbiamo ancora smesso di sperare».