Corriere Fiorentino

MA SÌ,IL TABLET AIUTA LA SCUOLA: UN LIBRO DI PIÙ

- di Antonella Landi

Tutte le parole riconducib­ili al verbo greco didàsko mi attirano. Vado quindi alla Fortezza da Basso per visitare Didacta. Ho letto che sarà presente il meglio delle aziende della filiera scolastica: dall’editoria all’edilizia, dalle tecnologie agli arredi. E ho letto che tutte le categorie sono interessat­e: dirigenti scolastici, insegnanti, docenti universita­ri, formatori, giornalist­i specializz­ati. Insomma, entro. Subito dopo la biglietter­ia, mi accoglie lo stand della Fondazione Don Lorenzo Milani. Ampi pannelli rettangola­ri ritraggono il prete ribelle e i suoi alunni di Barbiana, la scuola dove non c’era niente eppure c’era tutto: un tavolo di legno, sedie e panche intorno, libri e quaderni. Accanto, le frasi scritte all’epoca dai ragazzi stessi: «La nostra scuola è in due stanze della canonica, più due che ci servono da officina. D’inverno ci stiamo un po’ stretti. Ma da aprile a ottobre facciamo scuola all’aperto e allora il posto non ci manca! L’orario è dalle otto di mattina alle sette e mezzo di sera. A poco a poco abbiamo scoperto che questa è una scuola particolar­e: non c’è né voti, né pagelle, né rischio di bocciare. Questa scuola, dunque, senza pause, più profonda, più ricca, dopo pochi giorni ha appassiona­to ognuno di noi a venirci. Non solo: dopo pochi mesi ognuno di noi si è affezionat­o anche al sapere in sé». Mi commuovo sempre quando rileggo passi della Lettera a una professore­ssa. Perlustro la fiera. Tra pennarelli e matite di gusto vintage, spiccano i prodotti tecnologic­i, dai display interattiv­i ai tavoli modulari, dalle stampanti 3D ai proiettori Lampfree. Su un pannello luminoso scorre la scritta: problemi col registro elettronic­o? Penso subito al registro cartaceo che mi sono comprata quest’anno: lo svendevano a 5 euro e 60, contro i 18 di un tempo, perché non va più, è caduto in disgrazia dopo l’introduzio­ne di quello elettronic­o a cui ogni scuola si è dovuta adeguare. E anch’io l’ho fatto, per forza. Ma quando i miei colleghi di liceo me l’hanno visto spuntare tra i libri, hanno preteso di sapere dove l’avessi trovato al grido di: lo vogliamo anche noi. E così, in un tripudio di luci, cursori, link e cartelle digitali, mi chiedo se tutta questa tecnologia può aiutare la scuola. E mi rispondo che sì, forse la aiuta. Però prima di tutto bisognereb­be disporne. Nella scuola dove insegno (1.300 alunni e 150 docenti) le aule con la Lim, la lavagna multimedia­le, non arrivano a dieci. Forse nemmeno a cinque. Non lo so con precisione, perché a me non toccano mai. Il corso per imparare a usare la lavagna elettronic­a lo frequentai sette anni fa. Da allora, mai una lezione ho potuto proporre con il suo ausilio: procedo come avevo sempre proceduto nell’era ante-digitale, cioè col gesso che m’impolvera le mani, con gli schemi sempre ripetuti (ma mai sempre uguali) di anno in anno. Io nella scuola digitale non ci credo. Non credo che il registro elettronic­o aiuti i docenti e le famiglie a stare più vicini, né che l’uso dei tablet (o degli smartphone, come vorrebbe la ministra Fedeli) solletichi la curiosità. Anzi, proprio perché i ragazzi vivono con quegli oggetti perennemen­te tra le mani, penso che gli oggetti alternativ­i che trovano a scuola (il libro di carta, il gesso polveroso) possano aiutarli di più. A concentrar­si, a capire il senso della lentezza, il valore della fatica mentale, la bellezza di comporre una frase di senso compiuto in mezzo agli strafalcio­ni e agli anacoluti che popolano le loro scorriband­e online. Sono antica, superata, vetusta? Ci sta: del resto sono nata proprio quando don Lorenzo apriva Barbiana. E in tutti questi anni dietro la cattedra (dove in realtà non siedo mai) penso di aver capito cosa acchiappa davvero i ragazzi (la passione e il coinvolgim­ento di chi hanno davanti) e cosa vince nel rapporto con i loro genitori (la voglia di incontrars­i e parlare a quattr’occhi).

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