Corriere Fiorentino

Fortini, la poesia-canzone

Personaggi Da «Quella cosa in Lombardia» a «Patria mia» fino a una nuova versione dell’«Internazio­nale» Alla riscoperta dell’intellettu­ale paroliere, che a 100 anni dalla nascita sarà celebrato in un concerto a Sesto

- Roberto Barzanti

«Caro, dove si andrà / – diciamo così – / a fare all’amore? / Non ho detto a passeggiar­e / e nemmeno a scambiarsi qualche bacio. / Caro dove si andrà / – diciamo così – a fare all’amore? / Ho detto quella cosa che tu sai, / e che a te piace, credo, quanto a me»: la domanda-invito è rivolta con insistenza da una donna, che pretende un luogo adatto per un non fuggevole amplesso. È uno degli arditi passaggi di una canzone che su parole di Franco Fortini musicò Fiorenzo Carpi. Era il 1960: l’esplicita richiesta fece scandalo: a profferirl­a, oltretutto, era una donna, la seducente Laura Betti. Quella cosa in Lombardia è una delle più felici «poesie per musica», per le quali Fortini compose i testi, aggiungend­o un capitolo nuovo alla sua poliedrica opera.

In un concerto che vedrà tra gli altri Alessio Lega protagonis­ta alla chitarra, organizzat­o per domani dall’Istituto Ernesto de Martino di Sesto, saranno eseguiti molti titoli, a verifica di un’esperienza unica. L’iniziativa è tra le tante in agenda per onorare il centenario della nascita di Fortini (1917-1994), promosse da un comitato nazionale animato dal Centro che custodisce, nell’Università di Siena, il lascito documentar­io ereditato dell’inquieto intellettu­ale, a suo tempo docente nella neonata Facoltà di Lettere. La canzone prosegue con toni crepuscola­ri, degni di un Gozzano di simpatie proletarie, disegnando un acre idillio in sintonia con costumi e consumi dell’incipiente miracolo economico. In un pomeriggio domenicale la periferia vede allinearsi un rosario di «millecento ferme sulla via / con i vetri appannati / di bugie e di fiati». Da lontano s’odono i rintocchi della campana «che da un paese suona la novena», mentre le radio rantolano i risultati delle ultime partite di calcio: si rivela davvero arduo scovare un posto dove dar sfogo in pace all’eros che preme.

L’allegoria delle strettezze di quell’Italia che s’avviava verso uno sviluppo sfregiato da insormonta­bili disuguagli­anze non potrebbe essere più netta. Ma il Fortini delle canzoni apre ironicamen­te alla speranza. Tutti gli amori (1958) inscena l’amara conclusion­e di un affettuoso legame: «Tutti gli amori cominciano bene», anche se finiscono bruscament­e: «Spesso gli amori finiscono male / la donna resta sola / lavoro e servitù, / la libertà diventa una parola». Eppure «quel ch’è stato vero un mese o un giorno» non si dissolverà nel nulla. Nel mondo tanti si vogliono bene e vivono alfine in libertà. Traspare in evidenza come le vicende personali s’intreccino con la consapevol­ezza di sconvolgim­enti generali in un gioco dialettico punteggiat­o da non rassegnate riflession­i.

Spiegando i motivi che stavano al fondo di un’esperienza avviata nel 1957 con il gruppo di Cantacrona­che e proseguita con il Nuovo Canzoniere Italiano (1962), Fortini ha spiegato le sue costanti intenzioni: «Mettere in rapporto un fatto privato (per esempio un sentimento amoroso) con dei sentimenti, dei fatti pubblici». Accanto a questa vena melanconic­a prese corpo un filone di rabbioso sarcasmo, e fu quello ch’ebbe più fortuna. Sergio Liberovici musicò nel ’58 un impietoso ribaltamen­to dell’Inno di Mameli, che conquistò vasta risonanza nelle assemblee giovanili. L’attacco di Patria mia era feroce: «Fratelli d’Italia/tiriamo a campare! Governo ed altare/si curan di te./Fratelli d’Italia, ciascuno per sé!». I senari rispecchia­vano il dilagante anticleric­alismo, che echeggiava un ribelle Ottocento.

L’impianto dell’originale ottocentes­co è, invece, vigorosame­nte proiettato nel presente con il tormentato aggiorname­nto dell’Internazio­nale, cui Fortini teneva moltissimo. Ci lavorò a quattro riprese, dal 1968 al 1994, eliminando i rituali riferiment­i ad un’ideologia che aveva finito per tradire l’alto e genuino grido. Non vi si prospetta più una «futura umanità», ma «un’altra umanità», attiva da oggi su questa terra. Ad una sospirata utopia si sostituisc­e «il nostro sogno che è realtà». L’entusiasmo che Fortini riversava nelle imprese più innovative non era inferiore alla consapevol­ezza dello scacco cui si sarebbe andati incontro. In Italia la tradizione della ballata alla Brecht-Weil aveva scarse chance di attecchire. Le arie del melodramma conquistar­ono una diffusione privilegia­ta. E l’industria esaltò le giulive canzonette lanciate da Sanremo. Chi puntò a ritagliare uno spazio che conciliass­e intelligen­za critica e gradevolez­za corale dovette rassegnars­i a una limitata fortuna, che avrebbe lasciato il segno e influenzat­o una linea che può vantare una miriade di campioni: da Tenco a Guccini, da Ivan Della Mea al tenero De André. E come dimenticar­e il Dario Fo delle commedie sugli italioti abbagliati da fasulli miraggi? Franco Fortini partecipò alla scommessa con pedagogico impeto illuminist­ico e gelido ardore profetico. Risentirlo parlare attraverso canzoni quasi dimenticat­e sarà come rivivere certe sue lezioni, condite di un’affilata moralità.

 Un modello Influenzò una linea che può vantare campioni come Tenco, Guccini, De André

 ??  ?? Franco Fortini (Firenze 1917- Milano 1994). In occasione del centenario della nascita sono numerose le iniziative a lui dedicate
Franco Fortini (Firenze 1917- Milano 1994). In occasione del centenario della nascita sono numerose le iniziative a lui dedicate
 ??  ?? Gallery Sopra Laura Betti che cantò «Quella cosa in Lombardia», poi reinterpre­tata da Enzo Jannacci; a destra Alessio Lega
Gallery Sopra Laura Betti che cantò «Quella cosa in Lombardia», poi reinterpre­tata da Enzo Jannacci; a destra Alessio Lega
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