Corriere Fiorentino

Il fotografo dei ghiacci

A 20 anni Bracali ha lasciato Pistoia per raccontare il surriscald­amento della Terra I suoi scatti sono raccolti in 13 volumi, l’ultimo sui restauri delle tre chiese di Madre Teresa in India

- Edoardo Semmola

«Ho fatto tutto questo perché ero un bambino molto pauroso, estremamen­te timido. E ipocondria­co. Con attacchi di panico già a 11 anni, un’adolescenz­a problemati­ca, con difficoltà ad approcciar­e le ragazze». Arrivato a 20 anni Luca Bracali ha capito: «O mi lasciavo andare a una crisi di nervi o mi buttavo nella fotografia. Per girare il mondo». Ed è così che a metà degli anni Ottanta — dopo aver iniziato come fotografo di corse di auto e moto a bordo pista — ha fatto le valige e ha lasciato la sua città natale, Pistoia. Destinazio­ne: tutto il mondo. Ed è ancora lì che gira: è tornato dal Marocco dove la scorsa settimana teneva un workshop di fotografia naturalist­ica, ora si trova nei grandi parchi Usa a studiare la fauna, poi lo attendono in Madagascar. Il 3 novembre sarà alla Concordia University di Montreal in Canada a tenere una conferenza sul riscaldame­nto globale. La salvaguard­ia della natura è la sua stella polare.

I suoi migliori amici sono i lupi artici: la sua fotografia più celebre lo immortala mentre un branco di lupi lo divora di baci: «Li amo al punto che per scherzo mi hanno paragonato a San Francesco, entrambi ci parliamo con i lupi». Ha un approccio quantomeno radicale: «Non ho mai fumato una sigaretta né mai bevuto un caffè in vita mia, mai drogato, mai assunto alcolici. Mi mantengo puro dentro come mi piace pensare che debba essere l’ecosistema della terra, puro». Hanno dato il suo nome anche a un asteroide, scoperto nel 2005 dall’Osservator­io astronomic­o di San Marcello Pistoiese.

Dopo 13 libri sullo scioglimen­to dei ghiacci, 28 spedizioni artiche, dopo aver documentat­o la crisi degli orsi polari «che sono stati la mia sfida più grande a 53 gradi sotto zero» racconta, lo sbiancamen­to della Il bacio del lupo Questa foto è stata scattata a Bardi nel nord della Norvegia: è sicurament­e tra i suoi scatti più conosciuti barriera corallina e il restauro dei celebri Moai di Rapa Nui, l’Isola di Pasqua, è giunto il momento della svolta tematica per questo viaggiator­e avventurie­ro fotografo pistoiese di 52 anni.

«Sono molto religioso — racconta — nel senso francescan­o. E solo ora ho potuto integrare questo mio sentimento nel lavoro con un “cammino fotografic­o” nella fede. L’Istituto Italiano Internazio­nale Lorenzo de’ Medici di Firenze per cui lavoro e che edita i miei libri, ha finanziato il restauro delle tre chiese di Madre Teresa in India, affidando i lavori a Lorenzo Casamenti (restaurato­re anche di opere di Beato Angelico, Ghirlandai­o, Paolo Uccello e Simone Martini a Firenze, ndr): ho seguito i suoi progressi dal 2014, quelle chiese cadevano a pezzi, soprattutt­o la cattedrale di Nuova Delhi». Aveva già seguito La punta di un iceberg vista dal drone in Groenlandi­a Una foto scattata di fronte ai Moai dell’Isola di Pasqua Casamenti a Rapa Nui per i Moai, realizzand­o il suo dodicesimo volume. Ora, il 6 ottobre, il tredicesim­o: «Il mio personale omaggio all’esperienza di Madre Teresa, cogliendo momenti difficilme­nte ripetibili come l’immediatez­za della luce che colpisce gli affreschi, la postura del restaurato­re». Il volume uscirà il giorno dopo averne consegnato la prima copia a monsignor Patrick Nair, vescovo di Meerut, amico storico di Madre Teresa.

Fatto pace con le sue esigenze religiose, Bracali è ripartito, tornando «a ciò a cui ho consacrato la mia vita: il global warming». Ad aprile è stato chiamato a Bruxelles per allestire una mostra Artico sotto attacco nella sede del Parlamento Europeo. Per la Rai ha realizzato alcune puntate di Easy Driver nel 2011 e più recentemen­te di Kilimangia­ro. Ora Rai 2 lo ha chiamato per una puntata di Rai Storie «dopo che hanno visto la foto che ho scattato al Polo Nord lanciando in aria in perpendico­lare un drone che mostra lo scioglimen­to degli iceberg».

Non è il primo, né il più «famoso» tra gli iceberg a cui ha dato la caccia: lo scorso 8 settembre in Groenlandi­a ha immortalat­o un iceberg uscito dallo stesso ghiacciaio che un secolo fa affondò il Titanic. «Due anni fa nel circolo polare vedevo orsi sui banchi di ghiaccio a caccia di foche, dodici mesi dopo ci sono tornato e il ghiaccio si era ritirato, si cibavano di radici e alghe in un verde innaturale e a causa di agenti chimici inquinanti alcuni di loro erano diventati ermafrodit­i». Tra le sue fotografie più famose c’è lo Jökulsárló­n, il ghiacciaio più grande d’Europa, situato in Islanda. Nel 2009 ha raggiunto il Polo Nord a piedi, usando solo gli sci, e nel 2011 è stato «il primo al mondo a poter entrare e fotografar­e la Banca Mondiale dei Semi alle isole Svalbard, il luogo scavato nella roccia dove vengono conservati nel ghiaccio tutti i semi che servirebbe­ro a far rinascere le coltivazio­ni in caso di cataclisma globale. Da quel viaggio si è portato dietro anche uno scatto destinato a entrare nella storia recente della musica: con l’immagine del Monaco Glacier alle Svalbard ha realizzato la copertina dell’ultimo disco di Francesco Guccini, L’ultima Thule.

«La lampadina — ricorda — mi si è accesa il giorno in cui sono andato alla base di Vernadsky in Antartide, era il 2004, il luogo in cui c’è il centro di ricerca dove venne scoperto da Jonathan Shanklin il buco dell’ozono». Da quel momento ha visto quasi solo «bianco», il colore della neve. Con piccole ma importanti parentesi alle origini del mondo tra Mongolia, Vietnam, Madagascar, Indonesia. «Il mio scopo come fotografo è fare vedere a voi che vivete nelle città, tutto quello che per l’inquinamen­to e il riscaldame­nto tra poco non potrete vedere più. Fotografo la bellezza per raccontarv­i come stiamo uccidendo la bellezza».

 Il mio obiettivo è quello di mostrare a chi vive in città la bellezza che scompare per colpa di tutti i fattori inquinanti

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