«Così mio padre fu usato come cavia»
Processo Macchiarini, la figlia di un paziente: ci chiese 52mila euro prima dell’operazione
«Mi stanno usando come cavia, per far esercitare gli studenti nelle broncoscopie: così un esame di cinque minuti dura quasi mezz’ora». Così scriveva Gabriele Scigliano dal letto di ospedale: lo racconta, disperata, la figlia Ludovica durante il processo d’appello al chirurgo Paolo Macchiarini. Racconta un viaggio della speranza iniziato nel 2010 e quei 52 mila euro di conto, chiesti al paziente poche ore prima dell’intervento.
«“Mi stanno usando come cavia. Vengo usato per far esercitare gli studenti nelle broncoscopie così un esame di cinque minuti dura quasi mezz’ora”. A chiedere aiuto dal suo letto d’ospedale a Villa Monnatessa era mio padre: respirava a fatica, non riusciva a parlare e per comunicare scriveva messaggi su pezzetti di carta dopo aver subito, in sei mesi, tre operazioni e una tracheotomia. Il dottore Macchiarini gli aveva assicurato che dopo un intervento avrebbe trascorso l’estate senza la bombola d’ossigeno, ma non andò così». Parla Ludovica Scigliano al processo d’appello al chirurgo Paolo Macchiarini, assolto in primo grado dalla terribile accusa di aver ingannato i pazienti per indurli a farsi operare a pagamento in strutture private ed evitare i lunghi tempi di attesa e di aver manipolato le liste, con alcuni collaboratori, per avvantaggiare alcuni malati.
Insieme a lui sono a processo anche cinque sanitari di Careggi e i due ex dirigenti, Valerio del Ministro e Valtere Giovannini. Non è in aula il medico viareggino, il «mago dei trapianti di trachea» che lavorò a Careggi dal 2009 al 2012. Il racconto della signora, assistita dagli avvocati Michele Franzese e Antonio Cortese, è quello di un viaggio della speranza.
Tutto inizia nel 2010. «Per colpa di un batterio, mio padre soffriva di polmonite ab ingestis che gli provocava febbre e gravi insufficienze respiratorie» racconta la signora fuori dall’aula alla fine dell’udienza che si svolge a porte chiuse. «Eravamo partiti da Cosenza, avevamo consultato i medici dell’ospedale San Giuseppe di Milano e perfino alcuni specialisti in Germania, ma la sentenza era stata sempre la stessa: non c’è cura. A Firenze si è riaccesa la speranza». Con una mail, la signora Ludovica contatta il chirurgo. La risposta è immediata, l’appuntamento fissato per il 29 luglio. «Il professore Macchiarini non visita mio padre, ma ascolta in silenzio le sue parole — ricorda Ludovica — Alla fine lo rassicura: “Risolviamo il problema subito subito, andrà in vacanza senza macchinetta di ossigeno. C’è una lista d’attesa di tre mesi, ma posso operarla prima”. Il 1 agosto mio padre varca il portone di Careggi, due giorni più tardi è in programma l’intervento».
Solo qualche ora prima, Gabriele Scigliano riceve il conto dell’operazione: 52 mila euro. «Era in ballo la sua vita e decidemmo di pagare in tre tranches». Gabriele ha la febbre, ma si va avanti con l’intervento. «Macchiarini ci rassicura che è andato tutto bene — ricorda Ludovica — papà inizia la riabilitazione respiratoria: cammina, si fa Il dottor Paolo Macchiarini la barba». La situazione precipita dopo una settimana: la febbre ritorna e il respiro si fa di nuovo corto.
«Papà non poteva nutrirsi, così viene sottoposto a una digiunostomia, ma qualcosa va storto. È necessario ancora un intervento molto invasivo, il terzo». Gabriele entra ed esce dal reparto di rianimazione, da Careggi a Villa Monnatessa. «Ad ottobre, subisce una tracheotomia. Non riesce a parlare, è molto debilitato, ma cerca di reagire — spiega Ludovica — Comunica con sms e messaggi scritti a mano sui pezzi di carta. Un giorno mi consegna il messaggio: “Mi trattano come una cavia”. Io avevo notato solo qualche disattenzione». A Natale, Gabriele è ancora in ospedale, ma sembra aver recuperato le forze. I medici parlano di dimissioni imminenti, propongono di trasferirlo in un centro di riabilitazione vicino alla sua città. «Vedo papà per l’ultima volta il 24 gennaio: è sveglio, scherza. Poco dopo un medico mi annuncia che non c’è più, stroncato da una setticemia».