Corriere Fiorentino

CHE CI DICE PISTOIA CAPITALE

- di Paolo Ceccarelli

Tra poco più di due mesi Pistoia concluderà il suo anno da capitale italiana della cultura. Il tempo dei bilanci è già iniziato: un buon aumento di presenze turistiche (nei primi sei mesi +18,5% rispetto allo stesso periodo del 2016), zero fondi da investitor­i privati a fronte di 250 mila euro versati dalle partecipat­e dal Comune, cioè dai pistoiesi. Ma, al di là dei numeri, cosa resterà di questi dodici mesi? E cosa può insegnare l’esperienza di Pistoia al resto della Toscana? Il sindaco Alessandro Tomasi ha spiegato al Corriere Fiorentino che il tavolo promotore di Pistoia capitale resterà in piedi per pensare il 2018: «Vorremmo una città capitale della cultura permanente», ha detto. Ambizione naturale e giusta, ma fa pensare che agli sgoccioli del 2017 si tratti ancora e solo di un’ambizione. Non è certo colpa di Tomasi, che è stato eletto a giugno e dunque si è trovato a gestire l’impostazio­ne data dal suo predecesso­re, ma è bene che il sindaco e la sua squadra ora lavorino velocement­e ad un progetto. Forse il punto di fondo è che non basta organizzar­e presentazi­oni di libri, concerti, musei aperti e happening per essere capitale culturale. E questa, in fondo, è la lezione che da Pistoia può trarre il resto della Toscana. Per storia e per cultura, praticamen­te ogni città toscana potrebbe avere il suo anno da capitale. Ma per incidere servono idee chiare su cosa sono oggi le nostre città e proposte forti, anche choccanti, su come le vogliamo trasformar­e. Perché una cosa è certa: restando immobili, aggrappati al passato e ai suoi monumenti, si può fare anche tanti soldi ma non cultura.

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