Corriere Fiorentino

Scavano il garage, trovano il tesoro

Dallo scavo per una rimessa riemerge in via Romana la fornace delle ceramiche del maestro Tugio di Giunta Fu attiva fino al 1460, riforniva Santa Maria Nuova. Una formella potrebbe avere ispirato il lavoro di Luca Della Robbia

- di Daniela Cavini

Scavavano per fare un garage, hanno trovato la fornace di Tugio di Giunta: una scoperta archeologi­ca dal valore straordina­rio per la ceramica gigliata. Migliaia i pezzi emersi dalle viscere di via Romana, a pochi decine di metri dalla porta: brocche, scodelle, vasi, addirittur­a una formella che potrebbe essere alle origini delle ceramiche dei Della Robbia. È probabile che proprio qui siano nate le famose terracotte invetriate, in questa officina medioevale/rinascimen­tale – con tanto di camere di cottura e buche di smaltiment­o – affiorata casualment­e nel cuore della città. Un sito capace di custodire un secolo di storia della maiolica fiorentina, raccontato dai reperti che la terra ha protetto per 600 anni, e che gli archeologi della Soprintend­enza — diretti da Carlotta Cianferoni — ci stanno oggi restituend­o.

Si tratta del cantiere di produzione delle ceramiche di Tugio di Giunta, artigiano e imprendito­re della fine del ‘300, titolare di famose commesse fra cui quelle dell’Ospedale di Santa Maria Nuova. I suoi pregiati orcioli sono oggi esposti nei musei più prestigios­i del pianeta, dal British di Londra al Louvre di Parigi, dal Paul Getty di Los Angeles al Melbourne, in Australia. Ne abbiamo uno anche al Bargello. «Siamo certi che si tratti proprio della bottega di Tugio — spiega Valeria d’Aquino, l’archeologa responsabi­le dello scavo — non solo perché i documenti d’archivio identifica­no chiarament­e la bottega ‘nella strada maestra Romana, nel popolo di San Pier Gattolino’, ma anche perché nello scavo abbiamo rinvenuto molti frammenti con il marchio di fabbrica, la ‘firma’ utilizzata da Tugio e dai discendent­i: un asterisco a sei punte, posto alla base delle anse di boccali e orcioli».

I frammenti ricostruis­cono l’attività dell’officina lungo un arco di tempo che va dall’ultimo quarto del ‘300 alla metà del ‘400: si tratta di un vero e proprio tesoro, recuperato nelle diverse buche in cui il ceramista e i suoi operai gettavano — uno sopra l’altro — i pezzi delle infornate difettose. E non solo. «Nella camera di combustion­e crollata, abbiamo trovato anche il materiale relativo all’ultima infornata prima dell’abbandono — continua d’Aquino — il che ci dà un’idea abbastanza precisa della data di chiusura dell’attività, intorno al 1460». Quello affiorato in via Romana è dunque un vero compendio di storia della maiolica fiorentina, di cui fino ad oggi esistevano solo ritrovamen­ti sporadici: oggi invece il contesto è completo, e carico di informazio­ni. Per prima cosa, è possibile ricostruir­e le vicende della bottega, a partire dal capostipit­e Tugio, arrivato a Firenze nella seconda metà del Trecento. In questo periodo — grazie al fervore economico sprigionat­o dalla fine della grande peste del 1348 — cinque ceramisti si trasferisc­ono a Firenze, due da Montelupo, tre da Bacchereto. Fra questi ultimi è Tugio di Giunta destinato a lasciare un segno in città, soprattutt­o grazie al figlio Giunta (di Tugio), il vero businessma­n della casata, capace di far volare le commesse. È lui a stringere accordi commercial­i con varie istituzion­i, il suo nome compare spesso come fornitore di ceramiche smaltate per la nuova spezieria dell’Ospedale di Santa Maria Nuova. Siamo nel 1430, la Storia corre: l’uomo dipinto da Masaccio o scolpito da Donatello è ormai maturo, è tempo di sperimenta­zioni rinascimen­tali, i gusti evolvono, le tecniche si perfeziona­no. Grazie a Giunta, la bottega si lancia in nuove esperienze produttive, il blu cobalto appare accanto ai colori più arcaici, il bruno e il verde rame. Giunta lavora alacrement­e, fornisce vasi farmaceuti­ci, catini, brocche a centinaia. Le cose cambiano quando alla guida dell’officina passa la terza generazion­e: nessuno dei figli o nipoti riesce ad acquisire la stessa manualità, a conquistar­e la tecnica necessaria a continuare la produzione. La fornace viene dismessa e poi abbandonat­a – oggi lo sappiamo – verso il 1460.

Ma la scoperta di via Romana è fondamenta­le anche per altri aspetti: grazie ai numerosi attrezzi ritrovati, ai distanziat­ori, ai fili di ferro per il distacco dei vasi dal tornio etc., ci fornisce preziose informazio­ni sull’evoluzione di strumenti e tecniche di lavoro. I reperti raccontano inoltre il cruciale passaggio dalla fase produttiva arcaica a quella «di lusso»: dalle maioliche verdi e brune — divenute ormai comuni — a quelle più ricercate e costose «a zaffera», dove il blu cobalto compare accanto agli antichi colori. E dove la neonata tecnica della «zaffera a rilievo» — in cui il blu tende a sporgere rispetto alla superficie — sembra destinata ad un futuro radioso. «Fra gli scarti — racconta Giovanni Roncaglia, della Soprintend­enza Archeologi­ca – abbiamo individuat­o una targa devozional­e in terracotta con un Cristo sorretto da un angelo identico a quello che Luca Della Robbia realizza nel 1440 per Santa Maria Nuova. Non posso fare a meno di chiedermi fino a che punto il lavoro di Luca, capostipit­e dei Della Robbia, possa essere stato influenzat­o, se non addirittur­a ispirato da quello di Giunta». Certo il soggetto è lo stesso, e così il periodo di produzione. Ed è forse più verosimile che il grande Luca se ne andasse in giro fra una bottega artigiana e l’altra cercando ispirazion­e o materiali, piuttosto che il contrario. Intanto, in attesa delle analisi di laboratori­o sul pezzo scoperto, l’ipotesi che la «zaffera a rilievo» di Giunta sia la progenitri­ce delle celebri robbiane, non fa che accrescere lo stupore per una scoperta di per sé già straordina­ria.

«Fra i pezzi recuperati – continua Roncaglia — c’è anche un reperto in cui si riconoscon­o chiarament­e tutti gli elementi di una novella del Boccaccio, quella di Lisabetta da Messina; si vede una testa mozzata in un vaso, su cui cresce una pianta di basilico». Altro che repertorio iconografi­co «primitivo» con foglie stilizzate e figure zoomorfe: i frammenti di via Romana sembrano alludere ad una bottega ben integrata nel contesto culturale fiorentino, in cui l’orciaiolo inurbato dal contado, è in grado di riprodurre le storie che tengono banco nei salotti della città, e la letteratur­a si fa arte visiva su manufatti pregiati. Ancora una volta, segnale di un momento magico per la Repubblica di Firenze, dove un rinnovato fervore artistico e culturale — quello dei grandi cantieri pubblici come delle commesse private — viene nutrito dai profitti finanziari di un ceto borghese sempre più fiorente.

Tutto questo emerge dal Rinascimen­to di via Romana e si deposita sul nostro oggi. Ma ora cosa succederà al cantiere? La fase di scavo conclusa, le buche ricoperte, è iniziata la ricerca dei finanziame­nti che permettano la pulitura e il restauro del tesoro, e – perché no – magari anche una mostra. Quanto agli scavi, almeno parte della fornace potrebbe essere lasciata a vista all’interno di un condominio che voleva un garage nel cortile, e si è invece ritrovato una bottega medioevale in casa. Un’ipotesi mai del tutto escludibil­e quando si maneggia quel millefogli­e glassato del sottosuolo fiorentino.

Gli orcioli creati lì sono esposti nei musei più prestigios­i, dal British al Louvre Ora è iniziata la ricerca dei finanziame­nti per poter restaurare migliaia di pezzi

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Uno dei pezzi ritrovati nel garage di via Romana
 ??  ?? Accanto uno dei reperti della fornace ritrovata in di via Romana Nella decorazion­e spicca il blu cobalto Sotto Valeria d’Aquino, l’archeologa responsabi­le dello scavo durante i lavori di pulitura dei frammenti delle maioliche
Accanto uno dei reperti della fornace ritrovata in di via Romana Nella decorazion­e spicca il blu cobalto Sotto Valeria d’Aquino, l’archeologa responsabi­le dello scavo durante i lavori di pulitura dei frammenti delle maioliche
 ??  ?? Particolar­e del grande ambiente dove è stato rinvenuta la fornace: una scoperta che getta nuova luce sulla maiolica fiorentina
Particolar­e del grande ambiente dove è stato rinvenuta la fornace: una scoperta che getta nuova luce sulla maiolica fiorentina
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