L’ERESIA DEL REALISMO
Sul tema forse più infuocato della prossima campagna elettorale la Chiesa ha giocato dunque le proprie carte. Sui flussi migratori si fa carico delle ragioni del governo, ma nel contempo ribadisce la necessità di approvare la legge sullo ius soli. Apprezza il ministro Minniti (che vuole la limitazione degli sbarchi, ma anche un’accoglienza basata sul modello «diffuso» già applicato in Toscana) ma anche il ministro Delrio (che si batte per il sì alla cittadinanza ai nati in Italia da genitori italiani). Una posizione che però, come ha fatto capire il presidente della Cei Gualtiero Bassetti, non vuole interferire sui tempi parlamentari. «Un governo deve gestire il problema dei migranti con la virtù propria del governante, cioè la prudenza. Cosa significa? Primo: quanti posti ho? Secondo: non solo ricevere, (ma) integrare», ha detto Papa Francesco di ritorno dalla Colombia. Parole che hanno fatto il paio con quanto precedentemente detto dal fiorentino Bassetti. Che, nella sua prolusione al Consiglio episcopale permanente, ha auspicato il riconoscimento della cittadinanza di coloro che «sono nati in Italia, che parlano la nostra lingua e assumono la nostra memoria storica, con i valori che porta con sé». Anche se, parlando mercoledì scorso con i giornalisti, a margine della cerimonia per la celebrazione dei venti anni della facoltà teologica dell’Italia centrale, che ha sede a Firenze, il cardinale ha precisato meglio la sua posizione: «Non basta la nascita: secondo me così si fa torto anche a chi nasce, mentre la cittadinanza è qualcosa che ci si conquista con un inserimento progressivo nel tipo di civiltà, di nazione in cui siamo». Se nella prolusione alla Conferenza episcopale Bassetti ha sottolineato come l’integrazione dei migranti passi anche dal riconoscimento dello ius soli, a Firenze i due momenti sono ribaltati: è l’integrazione che favorisce e giustifica il riconoscimento della cittadinanza.
La messa a fuoco da parte della Chiesa non può stupire. Non a caso a tracciare il nuovo corso è stato un vescovo che proviene dal cattolicesimo democratico fiorentino di Giorgio La Pira e di padre Ernesto Balducci, in cui l’eresia religiosa non è disgiunta dal realismo della storia. Un realismo, quello di Bassetti, appunto, ma anche di Bergoglio, che non perde di vista l’orizzonte evangelico ma si fa carico delle situazioni concrete. I vescovi conoscono le difficoltà materiali delle parrocchie e gli umori e le fatiche dei cristiani. In Toscana sono circa 900 le strutture del mondo cattolico che danno ospitalità ai profughi, grosso modo il 10% dell’accoglienza.
Però c’è il problema che in molte parrocchie gli immobili ci sono ma spesso non sono a norma, mentre l’anzianità del clero non aiuta a portare avanti progetti di accoglienza.
E tuttavia la direzione di marcia è quella indicata da Papa Francesco che, come il cardinale Bassetti, ritiene giusto accogliere i migranti ma anche aiutarli a casa loro: «Facciamo investimenti lì perché crescano», propone il Papa. Che mette subito in guardia dal pericolo dello sfruttamento: «Nell’inconscio collettivo c’è che ogni volta che tanti Paesi sviluppati vanno in Africa lo facciano per sfruttare. Dobbiamo capovolgere questo. L’Africa è amica e va aiutata a crescere».
La posizione della Chiesa, che sta sul filo di un fecondo rapporto tra fede e politica, tra idealità e concretezza, può aiutare anche la società civile, a cominciare da quella toscana, ad affrontare il tema dei migranti con più raziocinio e meno emotività, superando paure e ideologismi. Lasciandosi alle spalle anche gli errori e le illusioni che accompagnano un’accoglienza senza integrazione e senza regole.