Corriere Fiorentino

DIVINO SERGEI IL RIBELLE DELLA DANZA

Alla Compagnia stasera l’anteprima di «Dancer», il docu-film sulla vita di Polunin Una storia di talento e eccessi, dal Royal Ballet al video virale «Take me to Church» «Ho lasciato tutto quando ero al top, volevo essere un artista senza etichette»

- Silvia Poletti

Nel mondo del balletto, da sempre, ci sono divi e divini. E i secondi sono rari. Ma quando appaiono tutto il resto si oscura. Non si tratta di tecnica sopraffina o bellezza fisica. È qualcosa di più, che vibra, afferra l’attenzione e non la molla più. Anche a dispetto di se stesso Sergei Polunin, ventisette anni, ucraino, è uno di questi artisti rarissimi. Talmente rari da scuotere visceralme­nte anche personaggi insospetta­bili. Ecco Roberto Saviano: «Vedere danzare Sergei Polunin è osservare un’opera d’arte indomabile, descrivibi­le solo attraverso le emozioni che provoca sull’epidermide. Nella danza c’è tutto ciò che non riuscirò mai a raggiunger­e con le parole». A emozionarl­o il celebre video in cui Sergei danza sulle note di Take me to Church, ad oggi 21 milioni di visualizza­zioni su Youtube. A firmare la regia David LaChapelle. Di fatto la parte conclusiva di Dancer (2015), il docu-film di Steven Cantor sulla sua vita — finalmente in Italia, anteprima in apertura del Festival dei Popoli stasera alle 21.30 alla Compagnia — che doveva fissare la fine e invece fortunatam­ente ha dato a Sergei la voglia di riprendere in mano la sua danza. Come può un ragazzo di ventidue anni aver voglia di mandare a monte la sua carriera dopo tante lotte? Come può andarsene dal leggendari­o Royal Ballet dove a soli diciannove anni viene nominato primo ballerino? In Dancer si racconta il suo crescente malessere, il disagio dettato anche dagli sconquassi famigliari di cui si attribuisc­e inconsciam­ente ogni colpa, la voglia di mollare la danza per diventare altro. Lo racconta il suo corpo, che si ricopre di tatuaggi e scarnifica­zioni, e i suoi ambigui messaggi su twitter sull’uso di droghe.

«La mia ribellione è nata dalla voglia di sentirmi libero, di fare l’artista senza etichette — ci racconta Sergei, attualment­e alla Bayerische Staatsoper di Monaco di Baviera dove ha trionfato in La Bisbetica domata e Giselle e pronto alla premiere del remake di Assassinio sull’Orient Express di Kenneth Branagh — Un artista ha il suo tempo. Un giorno può danzare, l’altro può recitare, l’altro coreografa­re. Non ha pressioni, non è chiuso dentro dei limiti. Nel balletto le regole sono soffocanti. A diciannove anni avevo raggiunto l’apice. E dopo cosa avrei potuto ottenere di più?». Senza meta si rischia di sbandare però. Fortunatam­ente nel suo cammino appare un padre artistico, Igor Zelensky che lo riporta in scena. E David LaChapelle che ne esalta gli aspetti creativi: «Per Take me to Church lavoravamo

nove ore al giorno, quasi senza parlare. Un’esperienza strana. Mickey Rourke, uno dei miei miti, mi aveva detto che per vivere un’esperienza artistica devi svuotarti da te stesso completame­nte. In quelle nove ore non ho fatto che piangere. Con David ci siamo studiati a fondo. Poche parole ma intesa interiore. Un giorno poi ha cominciato a farmi domande sulla danza, di cui è appassiona­to. E mi ha fatto capire che potevo considerar­la da un nuovo punto di vista». Quel video, che doveva essere un commiato è stato invece la svolta: «Prima evitavo ma ora nei documenti mi definisco ‘ballet dancer’. Ho capito che è il mio destino». E i Polunin-Ers di tutto il mondo ringrazian­o.

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 ??  ?? Gallery Alcuni momenti del docu-film di Steven Cantor con in alto Sergei Polunin da bambino
Gallery Alcuni momenti del docu-film di Steven Cantor con in alto Sergei Polunin da bambino
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