QUEL LIEVITO FIORENTINO
Così Nicola Pistelli con il sogno kennediano, don Milani e La Pira ispirarono Veltroni nel 2007
Da segretario in pectore del Pd Walter Veltroni salì a Barbiana a rendere omaggio a don Milani il 23 giugno 2007 perché, spiegò, «il mio viaggio è cominciato da qui».
Nel novembre ‘99, da segretario dei Ds, aveva mutuato dalla scuola del priore la scritta I care, titolo del congresso del Lingotto. Al termine del secondo incontro, Michele Gesualdi gli donò una copia di Lettera a una professoressa . Questa la dedica: «Con amicizia, stima e speranza...». E aggiunse, sorridendo: «Caro Walter, quel che conta sono i puntini di sospensione». Già, la speranza smorzata dal timore di quello che poi sarebbe successo: la crisi del Pd, la scissione, il futuro nella nebbia. Quando il 14 ottobre di dieci anni fa nacque il Pd di Veltroni in molti inserirono don Milani nell’album dei padri nobili del nuovo partito. Incautamente. Il priore di Barbiana era infatti distante dai partiti e dai loro destini. E tuttavia nell’omaggio veltroniano a don Milani si può cogliere una sorta di riconoscimento delle radici anche fiorentine del Pd. Le radici di un cattolicesimo democratico che negli anni Sessanta a Firenze coltivò il sogno di una frontiera politica nuova. Un nome su tutti: Nicola Pistelli. Che era un kennediano e dalle pagine di Politica , un periodico su cui si sono formati non pochi cattolici fondatori del Pd, portava avanti l’idea di una forza politica progressista e liberal. Quando nel 1962 fece un viaggio negli Usa, il leader della sinistra dc fiorentina confidò a Mario Gozzini, ex senatore e uno dei padri della riforma carceraria, l’esigenza che le «iniziative fiorentine di La Pira» dovessero «allungare il passo» e fare perno anche sull’America di Kennedy. E concludeva auspicando che la Firenze migliore si sprovincializzasse e iniziasse «un viavai» con il mondo dei democratici Usa. Firenze come laboratorio dell’incontro tra cattolicesimo progressista e sinistra democratica (socialisti, repubblicani lamalfiani e ex azionisti), fino ad includere un Pci che si fosse rinnovato e avesse rotto i legami con Mosca, è dunque una delle radici del Pd. Basti pensare che a Vallombrosa nel 1957, fu lanciata la proposta politica dell’apertura ai socialisti. Che una delle primissime giunte con i socialisti si insediò a Palazzo Vecchio, nel marzo del 1961, sindaco La Pira. Che, infine, sempre a Firenze nel 1964 uscì il libro, Dialogo alla prova, edito da Vallecchi, in cui intellettuali cattolici e marxisti si confrontarono sul «destino dell’uomo». Al di là delle diverse anime, talora anche molto distanti tra loro, questo mondo era unito — seppure forse ancora confusamente — dall’idea di una sinistra plurale imperniata su valori quali la riforma dello Stato, la modernità e la laicità della politica, il protagonismo della società civile, il rinnovamento dei corpi sociali, a cominciare dal sindacato, un nuovo rapporto tra impresa e lavoro, la battaglia per i diritti civili e, sul piano internazionale, la concezione di un ruolo attivo dell’Europa nel superamento della guerra fredda. Come temeva Gesualdi, però, il Pd è venuto meno, per alcuni
Nella città degli anni 60 L’esperienza del progressismo laico, cattolico, comunista e socialista può essere utile a costruire quella fusione di identità e storie che non si è ancora compiuta
del tutto, per altri in parte, al sogno politico del laboratorio fiorentino degli anni Sessanta per diverse ragioni. A cominciare dalla mancanza di un progetto politico e ideale. La costruzione del Pd si è rivelata una fusione a freddo tra classi dirigenti sopravvissute politicamente più per istinto di conservazione che per una reale istanza di cambiamento e di contaminazione di esperienze e percorsi diversi. Non a caso una delle prime battaglie dentro il Pd è stata su sedi e patrimonio. Venute meno le ideologie e le organizzazioni politiche del Novecento, molti militanti e dirigenti politici della Prima Repubblica si sono ritrovati senza un dio ed è stato inevitabile per alcuni di loro cadere nel doroteismo come mera gestione del potere. Addio Pd? Per chi crede nelle ragioni della sua nascita, forse proprio l’esperienza del progressismo non solo cattolico, ma socialista, comunista e laico della Firenze degli anni Sessanta può essere utile a costruire quella fusione di identità, di storie e di programmi che il Pd non è riuscito a compiere. Ma il tempo nuovo esige una generazione nuova. Non a caso il laboratorio fiorentino degli anni 60 aveva come protagonisti giovani politici di una nuova generazione. A cominciare da Pistelli. Che aveva solo 35 anni quando morì in un incidente stradale, nel settembre del 1964, con nel cuore il sogno di un partito democratico, moderno e kennediano.