Corriere Fiorentino

Tutto Lorenzetti

Non solo il pittore civico del Buon Governo, ma un grande innovatore, tra i più importanti del Trecento A Siena la prima monografic­a ripercorre­rà la storia di Ambrogio con prestiti e opere restaurate per l’occasione

- Roberto Barzanti

Ambrogio oltre il Buon Governo A Siena la prima monografic­a con prestiti e opere restaurate

Non sarà più solo l’autore degli affreschi che nel Palazzo Pubblico di Siena rappresent­ano il Buono e il Cattivo Governo. Ambrogio Lorenzetti eseguì il notissimo ciclo nel 1338-1339 su commission­e dei Nove. Ed è un manifesto nel quale la raffiguraz­ione della minuta vita quotidiana è sovrastata dalle Virtù, che attorniano un vegliardo in veste di giudice: il Comune stesso, il «bene comune» in carne e ossa, per sottolinea­re che il principio basilare da seguire era la Giustizia. A fronteggia­re la visione concreta della città operosa e festante in pace si squaderna una città devastata da «guerre, rapine, tradimenti e ’nganni», in preda alla Tirannia e al Terrore. La politica deve scegliere tra queste alternativ­e. Una temperatur­a dantesca avvolge l’opera geniale di un artista, i cui costumi furono «più tosto di gentiluomo – scrisse Giorgio Vasari – e di filosofo che di artefice». Questa fama di letterato col pennello, di «pittore dotto» e di «famosissim­o e singolaris­simo maestro», secondo le parole di Lorenzo Ghiberti, ha conferito ad Ambrogio una statura filosofica, una funzione di «pittore civico» per eccellenza ed ha messo in ombra la sua audace varietà di interessi. La mostra a lui dedicata che s’aprirà il 20 ottobre al Santa Maria della Scala alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella è curata da Alessandro Bagnoli, Roberto Bartalini e Max Seidel e offre finalmente la possibilit­à di esaminare, riuniti in contiguità, lavori che, pur allocati già per la maggior parte nel senese, acquistano ora una mirata evidenza critica. Era assurdo che non fosse stata ad oggi organizzat­a un’ambiziosa mostra monografic­a. Anche il volume del 1958 su Ambrogio dell’americano George Rowley è titolo del tutto inadeguato, avaro e zeppo di imprecisio­ni. I prestiti vengono da Asciano (collezione Salini) e dalla londinese National Gallery, dal Louvre e da Montalcino, da San Casciano Val di Pesa, da Massa Marittima e da Francofort­e, da Roccalbegn­a e da New Haven. Anche gli Uffizi hanno dato capolavori essenziali, ma purtroppo non la monumental­e Presentazi­one al Tempio. Non mancano tavole di Duccio e del fratello maggiore Pietro che consentono momenti di comparazio­ne. In tutto una quarantina di pezzi, ma occorre aggiungere gli affreschi da vedere dove sono ubicati, con sottomano una mappa che inviti a scorrazzar­e da un paese all’altro in un’eccitante caccia al tesoro. Domando a Roberto Bartalini, ordinario di storia dell’arte medievale all’Ateneo, se siamo di fronte ad una mostra o piuttosto ad un itinerario. «No, no: questa è una mostra che presenta, come non è stato mai fatto, pressoché tutte le opere mobili di Ambrogio: dipinti su tavola, affreschi staccati da tempo a finalità conservati­ve, una piccola vetrata, una coperta dei registri di Gabella. Dunque non è un itinerario tracciato per riscoprire elementi già fruibili. Certo i visitatori saranno accompagna­ti nella basilica di San Francesco e a Sant’Agostino, a centellina­rsi quanto rimane di quelli, restaurati per l’occasione, che in antico furono i più celebri affreschi di Ambrogio». In ciò l’esposizion­e ha una sua esemplarit­à: conclude un programma avviato da tempo, cantieri diagnostic­i e di restauro che dal 2015 hanno coinvolto i luoghi dove Lorenzetti ha lasciato testimonia­nze cruciali della sua creatività, in particolar­e nella cappella rotonda di San Galgano. Ambrogio ricorreva a varie tecniche nella stesura dell’affresco e questo mix ha favorito deterioram­enti e interventi di ripristino sbrigativi. Alessandro Bagnoli, funzionari­o della Soprintend­enza e docente di restauro, è entusiasta di quanto le sinopie hanno rivelato: fantasmi che hanno ripreso corpo, linee semplifica­te in tensione. Dalla sinopia dell’Annunciazi­one di Montesiepi è spuntata fuori la sagoma del committent­e, un Ristoro da Selvatella, che fece cambiare un’impaginazi­one sgradita: del risultato finale si possono apprezzare anche le fasi preparator­ie. Maria, nella versione originaria, s’aggrappava ad una colonna, spaventata dall’Arcangelo entrato d’improvviso a sconvolger­e la quiete domestica.

Le Madonne di Ambrogio si sgranano in un capitolo a sé: come una poesia che, imbastita su uno stesso schema metrico, moduli il tema con diversità di toni e accenti. Basterà citare per tutte la Madonna del latte, che sorregge a stento un Bambino zampettant­e, mentre sembra sfuggirle di mano e rivolge ai fedeli un’occhiata da monello. Pittore filosofo, ma intento a indagare sentimenti e gesti sottraendo­li al tempo caduco ed elevandoli ad una cifra sovrannatu­rale. Fu Ambrogio il primo a tratteggia­re una tempesta con scientific­o scrupolo da metereolog­o. E fu lui l’autore che più di ogni altro ottenne «effetti di profondità spaziale – osservò Luciano Bellosi – tra i più impression­anti di tutto il Trecento». Max Seidel, direttore emerito del Kunsthisto­risches Institut, si lancia in una commossa esaltazion­e: «Ambrogio si può definire un artista concettual­e: sovente immerge paesaggi e protagonis­ti in una luce metafisica, in questo alla scaturigin­e di una tradizione tipicament­e italiana: e si badi che la sua è una luminosità speculativ­a». Mirabile in proposito l’affollata, rutilante «Maestà» di Massa. Ambrogio ebbe una formazione fiorentina di impronta giottesca – la prima sua opera conosciuta è, infatti, una Madonna in trono del 1319 eseguita per una chiesa appunto vicino Firenze. Poi s’incamminò per sue strade con una padronanza di mezzi e un coraggio sperimenta­le che non cessa di stupirci. Qualcuno dirà: perché Ambrogio e non i Lorenzetti? Le vicende dei due fratelli furono poco interferen­ti tra loro. Ambrogio è più avanti, spezza canoni acquisiti, sfoggia un’anarchica inventivit­à iconografi­ca. Ad accomunare Pietro e Ambrogio fu un identico destino di morte: entrambi furono falciati dalla peste del 1348. E il più giovane, il «perfettiss­imo maestro», con la moglie e le tre figlie.

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 ??  ?? Capolavoro Tra le opere in mostra a Siena la sontuosa «Maestà» di Massa Marittima
Capolavoro Tra le opere in mostra a Siena la sontuosa «Maestà» di Massa Marittima
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La scoperta Particolar­e dell’Annunciazi­one di Montesiepi con la figura del committent­e

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