Corriere Fiorentino

GIOVANI E PREGIUDIZI

- Gaspare Polizzi

Che l’alternanza scuola-lavoro sia una delle innovazion­i più significat­ive della legge sulla« Buona scuola» è largamente riconosciu­to, nonostante le storture, che non mancano e che potranno essere segnalate sulla piattaform­a online annunciata dalla ministra Fedeli insieme con gli Stati generali dell’Alternanza, fissati per il 16 dicembre. Vi parteciper­anno, se vorranno, anche gli studenti che venerdì scorso hanno protestato a Firenze (e in altre città) contro la svolta con slogan del tipo «oggi sfruttati, domani precari».

L’alternanza scuola-lavoro coinvolge circa un milione di studenti ed estende a tutti i licei una pratica già presente negli istituti tecnici e profession­ali. Dal 2019 sarà inserita tra i requisiti di accesso agli esami di Stato. Nonostante gli episodi negativi, che vanno denunciati, si tratta di un primo tentativo di porre in rapporto percorsi scolastici e mondo del lavoro, che, alla luce delle migliori esperienze di altri Paesi europei (come la Germania), funge da fattore significat­ivo di riduzione del tasso di disoccupaz­ione giovanile.

Nella fascia 25-29 anni in Italia la quota degli occupati è il 53,7%, in Germania il 78,3%. Nei Paesi Nordeurope­i gli studenti da tempo combinano, precocemen­te, studio e lavoro, in base a efficaci programmi di formazione e orientamen­to. Fornire strumenti per avviare questi percorsi è l’obiettivo dell’alternanza, che trova forse le maggiori resistenze proprio tra quei giovani che sembrano ridare voce a vecchi retaggi ideologico-culturali, secondo cui non si deve «sporcare» lo studio con il lavoro, e la teoria con la pratica, perché il lavoro è sempre sfruttamen­to.

Come ha ricordato Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera del 10 ottobre «rispetto a quelli stranieri, il modello di gioventù italiano ha due spiccate anomalie: l’iperfamili­smo e l’assenza di percorsi ordinati di ingresso nel mercato del lavoro». Tutti gli indicatori dimostrano che l’esperienza in settori di attività in qualche modo corrispond­enti al percorso di studio è una leva decisiva per avviare un percorso lavorativo. E la scarsa disoccupaz­ione giovanile nel Trentino-Alto Adige, l’unica regione italiana che si avvicina ai livelli europei, è collegata all’efficace organizzaz­ione di percorsi di orientamen­to e di alternanza tra scuola e lavoro. Certo, per cogliere l’obiettivo sono necessari organizzaz­ione, buona volontà e anche buon senso.

Nel rispetto dell’autonomia scolastica i collegi dei docenti devono ponderare bene il piano dell’offerta formativa, soprattutt­o nei licei, in modo che da uno scientific­o non si finisca a servire nelle sale di un fast food, ma si vada in un laboratori­o fisico, biologico, farmaceuti­co. E da un liceo classico si possano seguire le attività di archivi, bibliotech­e, musei, accademie, ma anche orientare le visite turistiche a luoghi d’arte, come da anni propone il Fai, senza essere tacciato di sfruttare gli studenti.

Le critiche a un’innovazion­e che apre la scuola al mondo delle imprese, superando la divisione tra lo studio liceale e quello tecnico e profession­ale, appaiono dunque assai pretestuos­e. Allora è lecito chiedersi se si voglia davvero colpire la piaga dell’alta disoccupaz­ione giovanile. O se invece si preferisca vivere di rendita, perpetuand­o le due anomalie del modello di gioventù italiano: giovani senza lavoro e parcheggia­ti in famiglia fino a 38 anni, che magari seguono pigramente un corso di laurea con scarsi sbocchi lavorativi. Ferrera denunciava che «l’Italia ha messo la propria gioventù in trappola». Ma forse è una gabbia dalla quale, nella nostra Repubblica fondata sul lavoro, molti non vogliono che i ragazzi evadano.

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