RIPASSO DI STORIA: DA DE GASPERI A RENZI
Non è sempre vero che sbagliando s’impera, come sosteneva con un gioco di parole Leo Longanesi. A volte può capitare di perfino che sbagliando s’impara. È per l’appunto il caso Matteo Renzi. Il 4 dicembre scorso gl’italiani hanno bocciato a larga maggioranza la riforma costituzionale cara all’ex sindaco di Firenze.
Non già perché non era, anche dal punto stilistico, l’ottava meraviglia del mondo. Ma soprattutto perché il Nostro si era messo in testa di trasformare il referendum in un plebiscito sulla propria persona. A Roma anche un marziano alle lunghe viene a noia. Ma lui non l’aveva capito. Era partito lancia in resta all’insegna dell’io, io, io, nemmeno avesse l’autorevolezza di Giovanni Spadolini. E se talora l’io aveva ceduto il passo al noi, di sicuro non si trattava di un pluralis modestiae ma di un pluralis maiestatis. Minacciando che dopo di lui sarebbe venuto giù il diluvio. L’uomo ha capito la lezione e ora ha cambiato registro. In occasione della nuova legge elettorale ha mostrato di non essere interessato più di tanto al provvedimento. E ha tenuto a far sapere che non era convinto della sua bontà. Ma chi disprezza compra. E, rintanato nella cabina di regia, ha mandato avanti gli altri: l’incolpevole Ettore Rosato, felice come una Pasqua di mettere il cappello su un articolato che non è tutta farina del suo sacco; Paolo Gentiloni, presidente del Consiglio recalcitrante, indeciso a tutto finché non ha più resistito alle pressioni del segretario del suo partito; Anna Finocchiaro, che avendo alto senso delle istituzioni dev’essere arrossita quando ha posto per tre volte la questione di fiducia in pratica sull’intera legge. Alla fine l’ha vinta lui, Renzi. Ma a quale prezzo! Lo si capiva bene leggendo il forum con il segretario del Pd su La Repubblica di sabato scorso. Il voto disgiunto? «Solo un tecnicismo» da addetti ai lavori. La fiducia? «Uno strumento democratico che permette di fare le leggi». Ma anche le leggi elettorali, che sono la spina dorsale di un sistema politico? Buon per lui, Renzi dichiara di conoscere la storia e di aver cercato i precedenti prima che Maria Elena Boschi ponesse la fiducia sull’Italicum. Così scopre l’ombrello. Prima di lui — dice, modestamente — la fiducia fu posta da Alcide De Gasperi sulla legge elettorale maggioritaria del 1953, qualificata o meglio squalificata come legge truffa.
Allora è meglio mettere i puntini sulle «i». Renzi ha posto la fiducia su due iniziative legislative non governative, ma parlamentari. In pratica sull’intero testo formato di pochi articoli lunghi come lenzuoli per aggirare l’articolo 72 della Costituzione, a norma del quale ogni progetto di legge è votato articolo per articolo e con votazione finale. E in assenza di ostruzionismi. Per di più la pratica si è conclusa in appena tre sedute. Anche perché è scattato subito un contingentamento dei tempi che, a norma di regolamento, sarebbe dovuto intervenire solo
Differenze Sulla legge del ‘53 (la famosa legge truffa) i contrari facevano ostruzione alla Camera E quella era una sfida in cui il governo era impegnato in forma diretta Sulla riforma attuale invece il governo Gentiloni si era chiamato fuori
a novembre. Infatti il Rosatellum-bis è un novum rispetto ai testi precedenti. E tutto per evitare i voti segreti e mettere il bavaglio ai parlamentari. In nome della salus rei publicae. La fiducia posta da De Gasperi nella seduta della Camera del 14 gennaio 1953 non ha invece nulla a che spartire con quelle di Renzi. Intanto quella discussione andò avanti dal 7 dicembre 1952 fino alla seduta fiume del 18, 19, 20 e 21 gennaio dell’anno successivo. La fiducia fu giustificata dall’ostruzionismo irriducibile delle opposizioni di destra e di sinistra. E riguardò solo una parte del provvedimento, dopo che erano stati votati ben 168 emendamenti e subemendamenti. Siccome si trattava di una novità assoluta in regime repubblicano, De Gasperi si presentò a Montecitorio tenendo in bella vista un saggio di Jerôme Solal-Celigny su La question de confiance sous la Quatrième République, pubblicato l’anno prima sulla prestigiosa Revue du droit public. Come dire, se la questione di fiducia vale in Francia può valere pure da noi. Perfino Benito Mussolini, citato a sproposito dai grillini, nella seduta della Camera del 20 luglio 1923 pose Le rubriche «Via Lattes» e «Vite vissute» saranno pubblicate domani la questione di fiducia non sull’intera legge elettorale Acerbo ma solo sulla reiezione di un emendamento, per quanto importante, di Ivanoe Bonomi relativo al quorum. E la discussione si protrasse per dieci sedute. Votarono tra gli altri la fiducia Giovanni Giolitti, Giuseppe Grassi, futuro guardasigilli nel quarto governo De Gasperi e come tale cofirmatario della Costituzione, e Giuseppe Paratore. Quest’ultimo, dimessosi da presidente del Senato il 24 marzo 1953 durante l’ostruzionismo, fu sostituito da Meuccio Ruini. Due giorni dopo, quando fu approvata in via definitiva la legge elettorale maggioritaria, fu colpito al naso da un calamaio scagliato da un oppositore. E da allora i calamai furono inchiodati ai banchi.
Su una cosa Renzi ha ragione. Il Rosatellum-bis rappresenta un passettino avanti perché prevede sistemi elettorali identici per le due Camere. E poi bipolarizza il tripolarismo, escludendo di fatto i Cinque Stelle. Ma i due poli contrapposti di centrodestra e di centrosinistra dovranno trovare un accomodamento dopo il voto. In ogni caso la governabilità sarà a rischio. E i cosiddetti rappresentanti del popolo verranno per lo più scelti dai partiti. Questo passa il convento.