La tragedia di Santa Croce
Un grosso pezzo di pietra si stacca da una trave della basilica e uccide un turista spagnolo L’Opera: una settimana fa gli ultimi controlli. Franceschini: «Accertare le responsabilità»
DUE RIFLESSIONI SULLA CITTÀ FERITA
Una tragedia che non dimenticheremo. E che ha fatto il giro del mondo. Un turista è stato ucciso da un blocco di pietra venuto giù dal soffitto di Santa Croce, la basilica più famosa della città, il tempio delle «itale glorie» cantate da Ugo Foscolo nei «Sepolcri», che lì dalle loro tombe dovrebbero ispirare a tutti grandezza d’animo ed «egregie cose». Le prime reazioni hanno avuto tutte (o quasi) uno stesso filo conduttore: «Fatalità». In tutti gli eventi di questo tipo c’è una componente di imprevedibilità. Se però ci siano state anche negligenze umane saranno le indagini a stabilirlo. Con rapidità, magari. Fino a quel momento senso di responsabilità vuole che non si diano giudizi sull’accaduto. Invece si possono subito fare due riflessioni più generali.
La prima. Con l’esplosione del turismo di massa Firenze è sottoposta a un’usura crescente che richiede un crescendo anche in tutte le attività di tutela del nostro patrimonio artistico. Proprio per questa necessità avevano finito con l’accettare, nonostante gravi dubbi, che in alcune chiese fiorentine si pagasse un biglietto d’ingresso, che di per sé è principio contrastante con la natura stessa di ogni luogo di culto. La conseguenza è una sola: il ticket (8 euro nel caso di Santa Croce) deve consentire una manutenzione accurata del monumento e sicurezza assoluta per chi lo visita. Altrimenti la discussione non può che tornare al punto di partenza.
La seconda riflessione. Firenze non si può permettere di essere teatro di incidenti di questo tipo. È da tempo che il concetto di bene comune batte il passo in una città nella quale troppe volte prevale su tutto l’interesse economico, un mercantilismo fine a se stesso che ha gonfiato la rendita e avvilito i valori culturali, che pur sono il nostro vero tesoro, l’eredità che il passato ci ha lasciato. E non per distruggerla.
Caro direttore, vorrei che nel gran compianto per la scomparsa dello storico Rosario Villari fosse riservato un posticino ad alcuni interrogativi. Piccoli, piccoli? Forse no. Eccoli. Il suo manuale scolastico di storia contemporanea racconta il Novecento — e in particolar modo comunismo e fascismo, guerra e guerra civile — all’insegna del tacitiano «sine ira et studio»?
O da esso, sia pure nell’ampiezza della documentazione e dell’argomentazione, traspare una visione di parte (marxista) che non dà spazio alla «complessità» di idee, eventi, uomini, preferendo una lettura ideologica del cosiddetto «secolo breve»? Possiamo davvero affermare, mettendo da parte ogni pregiudizio e, più che mai, opinioni, sentimenti e risentimenti personali, che l’illustre scomparso abbia offerto alle vergini menti dei liceali, ansiosi di sapere, di capire e, ultimo ma non ultimo, di «scegliere», un adeguato materiale di spunti e riflessioni?
Il libro dalla copertina rossa che va custodito perché è «rosso» anche dentro o perché insegna a cercare e a pensare, perché stimola al confronto e al dibattito, perché offre un metodo di indagine critica e non rispostine ideologicamente confezionate? Villari va ricordato per la sua probità di intellettuale comunista che, al di là e al di sopra della sua professione di fede e della sua militanza politica, ha offerto a più generazioni di docenti e di ragazzi un piccolo tesoro di conoscenze storiche oppure perché, dall’alto della sua immagine pubblica, ha consolidato la «vulgata» di sinistra in campo storico? Insomma, il libro dalla rossa copertina va conservato «da qui all’eternità» perché ha cercato, in tutti i modi, di «informarci», lasciando poi al nostro spirito libero, ogni occasione per «formarci» e per «scegliere i nostri antenati» (imprimatur Franco Cardini) o perché ha fatto di noi tanti bravi scolaretti «ideologicamente corretti» e con tutte le verità rivelate al loro posto?
Mi rivolgo al governatore toscano Enrico Rossi secondo cui Villari deve essere ricordato (cito dal Corriere Fiorentino) «come un esempio per una sinistra che intenda svolgere il compito storico per cui è nata, stare dalla parte dei “semplici” e di chi è più “indifeso”». Eh no, caro governatore, lo studioso Villari, l’autore di manuali scolastici Villari, il professor Villari che insegna il Novecento agli studenti, non avrebbe dovuto fare compitini né esser dalla parte di nessuno, se non di quel tantinello di verità che possiamo tirar fuori dalla storia, nulla nascondendo dei «fatti» e lasciando spazio a idee, bandiere, ragioni di tutti. Anche perché, nello svolgersi degli eventi, cambiano i volti dei «semplici» e degli «indifesi». E i «santini» rischiano di bruciare le mani a chi ha la memoria corta.
Per gli studenti Possiamo affermare che lo storico abbia offerto ai liceali un adeguato materiale di spunti?