«Renzi e Berlusconi? Sono populisti buoni»
I due domani alla festa del Foglio, ma senza incontrarsi. Il direttore Cerasa: adesso divisi, poi chissà
Prima Berlusconi, poi Renzi. A Palazzo Vecchio. I due esponenti del «populismo buono», come li ha ribattezzati il direttore de Il Foglio Claudio Cerasa che li intervisterà domani alle «Giornate dell’ottimismo», si confronteranno a distanza. Il Patto del Nazareno? «È ormai archeologia politica».
Prima Berlusconi, poi Renzi. A Palazzo Vecchio. I due esponenti del «populismo buono», così come li ha ribattezzati il direttore de Il Foglio Claudio Cerasa che li intervisterà domani alle «Giornate dell’ottimismo», non si incroceranno neppure. Il Patto del Nazareno è ormai un pezzo di archeologia politica, ma chissà che non torni...
Direttore Cerasa, Berlusconi e Renzi a Firenze, anche se in due momenti distinti. Perché Il Foglio ha scelto Palazzo Vecchio per queste giornate dell’ottimismo?
«Perché Firenze è diventata un punto d’incontro geografico, politico e culturale e tra due modelli d’Italia: quello che sta a Roma e quello che sta a Milano. Firenze rappresenta la mediazione perfetta per avvicinare Roma alla locomotiva d’Italia, che oggi è Milano».
Dopo la batosta del 4 dicembre, cosa è cambiato nei rapporti tra il leader del Pd e quello di Forza Italia?
«Renzi dal giorno dopo in cui è si è rotto il Patto del Nazareno ha avuto molti problemi. Se quel patto avesse retto, oggi parleremmo di una storia totalmente diversa. Renzi era riuscito ad incassare ancora più voti, con un travaso dal centrodestra. Ora è un altro film: la legge elettorale consente ai due di giocarsi tutto in un corpo a corpo vero. Il presidente Mattarella, comunque sia, dovrà scegliere da questi due schieramenti il prossimo premier. E lo farà sapendo che un conto sono gli avversari e un conto i nemici».
Questo confronto a distanza tra Renzi e Berlusconi è l’inizio ufficiale della campagna elettorale?
«Sicuramente. E sarà una campagna molto interessante: finora abbiamo visto molti tentativi per coprirsi le spalle dagli anti sistema. Ma da sabato bisognerà iniziare a offrire un’alternativa politica a chi non urla e vuole votare in maniera consapevole».
Lei chiederà a Renzi e Berlusconi di inserire la bandiera europea nei loghi dei rispettivi partiti. È una provocazione che verrà accolta?
«Io chiederò ad entrambi se sono disposti a trasformare la cornice dell’Europa nel luogo in cui si può dare una protezione diversa, una terza via 2.0, rispetto a quella offerta dai protezionisti. Mi aspetto sorprese».
Cosa hanno ancora in comune i due leader, oltre l’approccio ottimistico ai problemi del Paese reale?
«Sono entrambi delle alternative al populismo cattivo. E tutti e due giocano abilmente con un linguaggio che punta anche alla pancia degli elettori, ma per fare delle cose che le forze anti sistema non farebbero mai: interventi pro globalizzazione, pro mercato e anti sovranismo. Il loro è un populismo buono».
Crede sia possibile un Patto del Nazareno bis?
«Al momento mi sembra una ipotesi molto remota, però credo che se le condizioni per un governo naturale non ci saranno, non sarà innaturale riproporre quell’alleanza di governo».
Quante possibilità ha Renzi di rifare il premier?
«Direi 5, perché è una fase più di mediazione che di rottamazione». E Berlusconi? «Premier zero, ma potrebbe essere un’azionista fondamentale per governare. Ma fino a quando è incandidabile non può farlo per legge». E Salvini? «Nessuna, perché è una forza minoritaria».
Chi vedrebbe bene come esterno a questa dicotomia?
«Gentiloni sicuramente e anche Tajani dall’altra parte: vediamo da che parte va il vento alle elezioni. Ma non escluderei Veltroni».
Come ha fatto Berlusconi a «resuscitare»?
«È sempre rimasto lì in realtà. Ma ha avuto la forza calma della pazienza. E soprattutto che è riuscito a capitalizzare il risultato del referendum votando no: aveva capito che il contesto sarebbe cambiato in maniera a lui favorevole».
Il punto chiave della due giorni de Il Foglio è «declinismo no grazie, contro la Repubblica degli incompetenti». Crede che l’ascesa vortiginosa abbia condizionato il livello dei nuovi potenti arrivati a Roma con l’ascesa dell’ex sindaco di Firenze?
«No, penso che ascesa di Renzi abbia costretto la sinistra a fare una cosa che ha evitato morte certa, come successo in tutto il mondo. È riuscito ad affermare una sinistra che si confronta con la modernità e non solo con gli spettri del passato».
Renzi ha fallito la prova del potere? Ha prevalso più il merito o la fedeltà?
«Renzi non ha fallito la prova del potere. Pur commettendo molti errori, ha fatto cose inimmaginabili, come la riforma delle banche popolari. Al di là dei dissidi che ci sono stati, ha creato una classe dirigente alternativa al passato».
Per tentare di vincere questa mission impossibile, dopo il micidiale successo di Facce nuove a Palazzo Vecchio e della rottamazione, dopo il crollo dal referendum che carta può giocare vincere le elezioni?
«Le può vincere se riesce ad entrare in “modalità Merkel”: se riesce a dimostrare che all’Italia non serve uscire dal mondo, ma che bisogna continuare a seguire il percorso grazie a cui, negli ultimi sette anni, l’Italia si è risollevata. Deve mettere insieme proposte di buonsenso».
Perché Palazzo Vecchio Qui c’è il punto d’incontro politico tra due modelli d’Italia: Roma e Milano