Quei ribelli dell’architettura
Alla Strozzina la stagione dei «Radicali» a Firenze cinquant’anni dopo la loro nascita e rivoluzione creativa Installazioni, design, video, fotomontaggi: 320 opere raccontano un’epoca d’oro che ha reso la città protagonista
Che la Cupola del Brunelleschi potesse svettare tra cime d’albero su sfondi d’arbusti, negli anni Sessanta non solo lo sognavano. Ma lo disegnavano. E gli architetti del gruppo 9999 chiamavano questa utopia «Nuova università di Firenze». Perché la sete del sapere si sprigionasse selvaggia come una forza di natura. Poi vedi come gli Zziggurat, un altro degli storici gruppi di architettura radicale fiorentina degli anni ‘60-’70, riescono a trasformare Santo Spirito in un «bosco sacro» con un tappeto di foglie e altre parti del centro storico in una visione fuori scala di gigantesche linee fantascientifiche — sembra di vedere la scenografia di Blade Runner, 15 anni prima di Blade Runner — come una pista di atterraggio dove al posto degli aerei, partono e atterrano idee e visioni in stile pop-art.
«Avevano 20 anni ed erano irresponsabilmente ed entusiasticamente lanciati verso nuovi orizzonti, dimostrando un coraggio che oggi abbiamo ahimè perduto». Li ricorda così Alberto Salvadori, i «Radicali» fiorentini che hanno segnato un’epoca d’oro dell’architettura novecentesca, un decennio di grande fertilità artistica, in special modo per Firenze. Lui che insieme a Pino Brugellis e Gianni Pettena ha curato la mostra che si apre oggi a Palazzo Strozzi, nei locali della Strozzina: Utopie radicali — Oltre l’architettura: Firenze 1966-1976. Sono Archizoom, Remo Buti, 9999, Superstudio, lo stesso Gianni Pettena — curatore e artista in mostra allo stesso tempo — UFO e Zziggurat. Mezzo secolo dopo li ritroviamo per la prima volta tutti insieme in un susseguirsi frenetico di oggetti di design, video, installazioni, performance, che distillano il senso più profondo della loro visione del mondo, delle città, delle relazioni tra esseri umani, dello spettacolo, ma anche dello spazio vitale della condivisione dello stesso.
Una mostra che celebra questa straordinaria stagione creativa che nasce in reazione sociale, politica ma anche umana al disastro dell’Alluviochitettura ne, e che fino al 21 gennaio offre alla visione del pubblico 320 opere tra cui abiti, gioielli, tessuti, porcellane, lampade, mobili, foto, fotomontaggi, collage, modelli e progetti.
Dieci sale per dieci temi «radicali» che si intrecciano: si inizia dalla pop-art «perché è da lì che tutto inizia, siamo nel 1966» spiegano i curatori insieme al direttore di Palazzo Strozzi Arturo Galansino. Poi una sala sull’editoria, una sull’arte e il corpo nel contesto della liberazione sessuale, l’ar- verde e quella urbana, le visioni lunari, la sala dedicata alla cultura disco-club. Ogni sezione è una rivoluzione tematica, una rottura con il passato: «Gli architetti radicali conoscevano le regole dell’arte ed è per questo che sono riusciti a distruggerle — spiega Salvadori — Molti tentano di distruggere il passato senza conoscerlo, ma così non si cambia nulla». Questa è Utopie Radicali: «L’immagine di una città straordinaria, quella Firenze». Fuori dalla Strozzina, due opere «effimere». Una nel cortile di Palazzo Strozzi e una appesa dal soffitto del Mercato Centrale, partner dell’esposizione «per creare occasioni democratiche per la fruizione di arte e cultura» come ha detto Domenico Montano, direttore generale del Mercato: gli Urboeffimero firmati UFO. Enormi, «galleggianti» gonfiabili. «A Firenze in quegli anni fu distrutta l’architettura razionalista per far nascere un mondo nuovo di arte totale, come un big bang — è Pino Brugellis a fare da cicerone tra le sale — Nel 2014 abbiamo iniziato a ricordare quella stagione con piccole mostre e conferenze: anche il famoso critico Hans Obrist incontrando il sindaco Nardella gli disse che era rimasto folgorato dalla sua città non per gli Uffizi ma per l’architettura radicale».
Parallelamente anche al Museo Novecento si apre con la Fondazione Architetti Firenze una monografica curata da Marco Ornella ed Emanuele Piccardo dedicata al gruppo 9999 con fotografie e filmati inediti che ne tracciano la storia: Rivoluzione 9999 dal 27 ottobre al 28 gennaio. Dedicata allo Space Electronic, la discoteca nata appunto nel ‘69 in un ex garage alluvionato di via Palazzuolo come spazio di ricerca e sperimentazione che ha visto tra i suoi frequentatori Dario Fo, Julian Beck e Judith Malina con il loro Living Theatre e poi i Van Der Graaf Generator, Rory Gallagher, gli Area di Demetrio Stratos. Alle discoteche «radicali» dedica una sala anche la Strozzina: lo Space e il Bamba Issa di Forte dei Marmi, con un video del Living Theatre dove «la meravigliosa esperienza espressiva collettiva finiva in una grande ammucchiata dopo che gli artisti avevano preso a uno a uno una serie di spettatori e li avevano spogliati sul palco». Un ricordo vivido di Alberto Salvadori.