Corriere Fiorentino

LEGGENDE E SEGNALI, IN UNA FIRENZE FUORI DA FIRENZE

- di Vanni Santoni

Via dei Sette Santi per me è legata a ricordi felici e a un piccolo lutto. Vi aveva infatti sede Bravado, storico negozio di snowboard cittadino, dove andavo a farmi «imburrare» la tavola prima di partire in settimana bianca. A quei tempi non avevo percezione della mappa di Firenze e finivo sempre per arrivarci da via Campo d’Arrigo, ma ogni volta era una gioia risalirla perché a ogni passo che facevo in quella strada dritta, residenzia­le e quasi priva di segni distintivi se non il puntuto e rossastro neogotico della Chiesa dei Sette Santi Fondatori in fondo, mi avvicinava al momento in cui sarei saltato giù da una seggiovia del Sestriere, della Val di Fassa o delle Deux Alpes. Poi mi son fatto male alla schiena e da allora il coraggio di lanciarsi è scomparso, sostituito da un fatale senso di vecchiaia. A incrementa­re la beffa, il fatto che l’ultima volta che l’avevo percorsa era stato pure per andare a far mettere la sciolina a una Burton nuova di pacca.

Tornandoci oggi, oltre a scoprire la scomparsa del mio negozio di fiducia, ritrovo un po’ di malinconia ma anche lo stesso senso di esser fuori Firenze che provavo allora, forse perché l’architettu­ra della chiesa e l’atmosfera ariosa della zona mi ricordavan­o Bologna. Non conoscevo infatti ancora l’interno di Campo di Marte e l’organicità razionalis­ta del quartiere, a cui il miglior commento è oggi la scritta «No al nuovo stadio» che leggo su un muro proprio in via dei Sette Santi. Mi chiedevo, a volte, chi fossero questi Sette Santi. Oggi lo so: membri di famiglie sia guelfe che ghibelline, al secolo Bonfiglio Monaldi, Bonagiunta Manetti, Amadio degli Amidei, Manetto dell’Antella, Uguccione degli Uguccioni, Sostegno dei Sostegni e Alessio Falconieri. Secondo la leggenda, il 15 agosto 1233, mentre stavano per affrontars­i apparve la Madonna, in lacrime per le divisioni tra guelfi e ghibellini. Così si tolsero giaco e spada, si misero abiti a lutto e si ritirarono a Vaglia, dove fondarono il convento di Montesenar­io. Meglio se non avessi indagato: ora è difficile non pensare che l’aver appeso la tavola a un chiodo sia una sorta di maledizion­e (o benedizion­e? Chissà, forse erano imminenti altri e peggiori infortuni) dei Sette Santi, sul calco del loro appendere al chiodo le armi, né aiuta la comparsa di un negozio di sandali (ancorché del tipo moderno e tedesco), che assomiglia pericolosa­mente come un invito alla vita monastica.

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