Cipollini, la super volata sul tetto del mondo
Il trionfo di Cipollini a Zolder: è stato il primo toscano a vincere un mondiale da professionista: «Un sogno»
Era il suo sogno, quello di tutti gli azzurri, di tutti gli appassionati. La scommessa nata appena la federazione internazionale aveva reso noto il percorso del Mondiale 2002, a Zolder, in Belgio, mai così piatto e perfetto per gli sprinter come SuperMario.
L’Italia non vinceva il mondiale ormai da troppi anni, dieci, e Mario Cipollini — incredibile ma vero — era alla sua prima convocazione iridata nella nazionale azzurra, arrivata a 35 anni e dopo 180 vittorie, tutte in volata fin dal 1984 quando il ragazzone nato a Lucca aveva esordito nei professionisti. L’annata era stata straordinaria per SuperMario, ad iniziare dalla vittoria nella Milano-Sanremo per proseguire con 6 tappe vinte al Giro, ma non semplice con tanto di annuncio choc a luglio — «mi ritiro, smetto perché da questo mondo ho ricevuto tantissimo, ma meno di quanto ho dato...» — arrivato nonostante il sopralluogo del mese prima sul circuito belga, assieme al ct Franco Ballerini e ai fedelissimi Mario Scirea, Andrea Tafi e Giovanni Lombardi, che aveva confermato come il percorso fosse tagliato su misura per le sue caratteristiche. Risultato, squadra disegnata da Ballerini su misura per il campione lucchese, designato capitano unico, con dentro tutti i ciclisti del «treno» abituato a lanciare la volata di SuperMario. Ballerini, amico di Mario, uno dei suoi maestri, era così sicuro che gli azzurri avrebbero corso per il capitano che promosse in squadra da riserva Alessandro Petacchi, rivale di Cipollini nelle volate, e non il velocista aretino Daniele Bennati, di cui i compagni di team di Re Leone (l’altro soprannome di SuperMario) si fidavano molto di più. «Garantisco io per Alessandro, ci ho parlato», spiegò il Ballero a SuperMario e quella mossa fu decisiva.
L’Italia era obbligata a vincere, assieme alla Germania di Erik Zabel e all’Australia di Robert “Robbie” McEwen ( che nella stagione aveva già vinto due tappe al Giro e due al Tour ed era considerato lo sprinter più pericoloso per l’azzurro), ma al via c’erano tutti i migliori, dal due volte campione del mondo Oscar Freire al campione di casa Johan Museeuw (oro ai Mondiali 1996), con i francesi che non avendo uomini veloci puntavano su attacchi da lontano. Gli azzurri tutti per Cipollini, con ruoli ben definiti: il toscano Luca Scinto e Davide Bramati per tirare nella prima parte, poi Scirea, Bettini che deve marcare a uomo Museeuw che di sicuro tenterà qualcosa per evitare il volatone, quindi il «treno» di Sacchi, Di Luca, Bortolami, Tosatto e Nardello, con Giovanni Lombardi regista e incaricato di pilotare SuperMario sul traguardo, assieme a Alessandro Petacchi, capace di pedalare nell’ultimo chilometro a settanta all’ora. Nel 1992 aveva trionfato Gianni Bugno, agli ordini di Martini — da allora solo delusioni, con la squadra spesso divisa ed incapace di rispettare i pronostici — ma quella grigia mattina di ottobre si respirava fiducia, ottimismo, determinazione, come fin dal primo giorno del ritiro azzurro.
Pronti via, e arrivano i primi scatti di chi non ha niente da guadagnare da una volata: al secondo giro ci prova il francese Moreau, poi raggiunto dal kazako Muravyev che cede all’ ottavo giro mentre Moreau viene raggiunto al gruppo tre giri più tardi ed il tracciato si conferma piattissimo, con appena 350 metri di salita che non possono fare la differenza. L’Italia controlla senza problemi, con gli azzurri in forza nelle prime fila, Cipollini sempre circondato dai compagni e Scinto e Bramati attivissimi. A tre giri dalla fine, sull’unico strappetto del circuito Museeuw scatta, ma Paolo Bettini è prontissimo, lo bracca, si incolla alla sua ruota, non tira e il campione belga desiste dopo poche centinaia di metri. È ormai chiaro che si va verso l’arrivo allo sprint, la soluzione per cui gli azzurri lavorano dal primo metro, e il segreto è anche un accordo in corsa svelato a fine gara da Lombardi: «Parlo con Australia e Germania e decidiamo, se a tre giri dalla fine il gruppo rimane compatto, di correre insieme. L’Australia per McEwen, la Germania per Zabel, noi ovviamente per Cipollini. Stessi obiettivi, stesse strategie, e poi ce la giochiamo sul rettilineo finale. E così è stato». Scinto, Nardello e Tosatto tengono alta la velocità così da rendere impossibile gli scatti e all’ultimo giro il gruppo è compatto, con i tedeschi che si fanno vedere in testa per Zabel. Lo squadrone azzurro è però inarrestabile, con Bortolami e Scirea a trainare il gruppo. Neppure l’imprevisto ferma gli azzurri e dalla caduta a metà dell’ultimo giro si salvano i primi trenta, con ben 11 maglie azzurre presenti e il treno per Cipollini che non fa una piega. I metri come i secondi accelerano, la tensione sale, la sagoma di SuperMario emerge chiaramente tra i primi incollato al regista e amico Lombardi, con però alla ruota Erik Zabel e McEwan. Negli ultimi 2.000 metri il capolavoro di Petacchi, che tira a tutta impedendo attacchi e si sfila a 500 metri dal traguardo. Tocca a Lombardi che compie l’ultimo sforzo e a duecento metri si rialza. Cipollini esce allo scoperto, al centro della pista, spinge, aumenta la progressione e trionfa davanti a McEwan e Zabel, a braccia alzate, urlando quasi, con Bettini e Lombardi che alzano le braccia al cielo come avessero vinto loro.
La maledizione che aveva sempre impedito ad un ciclista toscano di vincere il Mondiale è rotta e sul podio il «debuttante» Cipollini non fa il guascone, non è SuperMario, quasi commosso e stretto poi dall’abbraccio sorridente e affettuoso di Martini e Ballerini. Zolder è il sigillo di una carriera e Cipollini lo sa: «Quando ho tagliato il traguardo ho esitato ad alzare le mani, per paura che qualcuno potesse passarmi — confessa, insolitamente umile — Ho preso il via in uno stato di trance: era tale la concentrazione che i 256 km mi sono volati via. Ho fatto tutto per essere al 100% in quello sprint: cioè andare a letto alle 10, pedalare per sei ore al giorno e perfino non “trombare”. È stata davvero la volata della mia vita. Devo ringraziare il ct Ballerini e tutti i compagni. Questo è il punto più alto della mia carriera, lo sprint più importante, più bello. È il coronamento di un sogno».
di Mauro Bonciani