Corriere Fiorentino

I GRILLINI DI LIVORNO? PRENDONO GRANCHI

- di Paolo Armaroli

Igrillini — ma forse dovremmo adesso chiamarli «dimaini», che suona ancora peggio — non deludono mai. Quando ci aspettiamo che dicano una scempiaggi­ne, loro la dicono senza pensarci su due volte. L’ennesima riprova l’abbiamo in questi giorni nella nostra Toscana.

E precisamen­te a Livorno, grazie a un pugno di grillini puri e duri, ma più duri che puri, con tanto di contorno di ex grillini. La giunta comunale, presieduta dal sindaco pentastell­ato Filippo Nogarin, aveva avuto un’idea niente male. Aveva deliberato di intitolare la Rotonda di Ardenza, che s’affaccia sul mare, a un illustre livornese come Carlo Azeglio Ciampi. Non l’avesse mai fatto! Subito, come se fosse stato morso da una tarantola, il consiglier­e ex pentastell­ato Edoardo Marchetti — novello Nerone — ha posto il pollice all’ingiù. Con la risibile motivazion­e che Ciampi — udite, udite! — si sarebbe reso responsabi­le di privatizza­re alcune aziende pubbliche, di aver propiziato l’entrata dell’Italia nell’euro e di aver reintrodot­to per la festa della Repubblica la parata militare ai Fori imperiali. Ma non basta: così il capogruppo pentastell­ato Marco Galigani ha detto a sua volta no perché Ciampi sarebbe l’uomo delle banche. A sua volta il sindaco Nogarin, malcapitat­o tra l’incudine e il martello, ha dato prova di incassator­e ineguaglia­bile. Ha dichiarato che se la delibera della giunta comunale non va bene, se ne riparlerà in Consiglio. E poi ci ha messo una toppa a colori che è peggio del buco. Difatti ha affermato che lui intendeva rendere omaggio non già all’uomo di governo, al Presidente della Repubblica, insomma allo statista. No, al livornese. Punto e basta. E allora perché no al garzone del lattaio, pure lui di Livorno? Nella sua vita avrà commesso errori, Ciampi? Di sicuro. Per esempio, non ha avuto la mano felice nella nomina dei senatori a vita e dei giudici costituzio­nali, tutti uomini illustri ma per lo più di sinistra. Ma, vivaddio, è stato uno splendido Italiano. Una personalit­à che a decine di milioni di apolidi, quali purtroppo stiamo diventando sempre più, ha indicato la diritta via della Patria. Una Patria che a suo avviso, ma su ciò il dibattito è aperto, non è morta l’8 settembre 1943. Infatti ha detto e ridetto in più occasioni che da allora è risorta dalle sue ceneri come l’araba fenice. E aveva tutti i titoli, Ciampi, per fare affermazio­ni di questo genere. Giovanissi­mo, ha combattuto da valoroso in Albania. Dopo l’armistizio, ha attraversa­to le linee per raggiunger­e l’Italia liberata. S’è iscritto a un solo partito, il Partito d’Azione, che durò lo spazio di un mattino. Dopo essersi laureato con il massimo dei voti in Lettere e in Giurisprud­enza, vince il concorso alla Banca d’Italia, dove rimarrà per 47 anni, 14 dei quali da Governator­e. Profession­ista come pochi altri prestato alla politica, Ciampi sarà ministro del Tesoro nei governi Prodi e D’Alema, presidente del Consiglio, ma soprattutt­o un inquilino del Quirinale fuori dal comune. Eletto al primo scrutinio dal Parlamento in seduta comune il 13 maggio 1999 con 707 voti su 1010 — tra quei 707 voti ci fu anche il mio, e ne sono orgoglioso — ha tentato in tutti i modi nel corso del suo settennato di trasformar­e un’espression­e geografica com’è l’Italia ai giorni nostri in una Nazione. Agli immemori delle antiche glorie ha ricordato le pagine del nostro Risorgimen­to. Ha reso omaggio all’Inno di Mameli, le cui note ha voluto che risuonasse­ro nella Piazza del Quirinale. S’è inchinato davanti al nostro splendido Tricolore, che di solito nelle feste comandate è esposto unicamente negli edifici pubblici. Ridotti come siamo, abbiamo un disperato bisogno di figure esemplari come per l’appunto quella di Ciampi, un Italiano di Livorno. Siamone degni. E lasciamo che i bischeri in servizio permanente effettivo si grattino la rogna, senza pretendere che gli sia dato ascolto. I poveri di spirito vanno isolati e compatiti.

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