«Serve un’alleanza tra genitori La violenza non va tollerata»
IL PROCURATORE MINORILE
Un bambino che diventa bersaglio di un gruppo di «amici». Perché più fragile o perché diverso. Uno contro uno o, spesso, tanti contro uno. Storie di bulli e vittime. E di genitori che dovrebbero essere le prime sentinelle su quella linea di confine che separa uno scherzo dalla prevaricazione ma che spesso non sanno esserlo. «I genitori di fronte a un episodio di bullismo che coinvolge i figli dovrebbero dar vita a un’alleanza per evidenziare il disagio da una parte e dall’altra. Questo è già un buon punto di partenza». Antonio Sangermano è arrivato a gennaio alla guida della Procura per i minori di Firenze dopo quattro anni alla Procura di Prato e sette a Milano. Del bullismo declinato in tutte le sue forme, compreso quello al femminile, ha la scrivania piena. Del caso specifico di Olmo, il ragazzino di 14 anni umiliato dai compagni nello spogliatoio della squadra di calcio, ovviamente non parla. Ma di tutto il resto sì, a partire dal ruolo dei genitori e della scuola.
Difficilmente un genitore accetta di avere un figlio bullo, quasi sempre fa da scudo e tende a minimizzare.
«È vero ma questo dovrebbe essere il primo passo per correggere le devianze. I genitori devono sempre vigilare e mai tollerare la violenza. Purtroppo il bullo spesso ha un cattivo esempio di fronte. Sviluppare un’alleanza genitoriale è fondamentale, permette di evidenziare quello che accade tra i ragazzi e anche di capirne le cause. Molte segnalazioni arrivano dalla scuola. La Procura interviene non solo sanzionando ma anche attivando la pratica civile, con i servizi sociali che si occupano di monitorare lo stato di disagio. Perché si diventa bulli? «Viviamo nell’epoca della continua esaltazione della forza. Va recuperato il concetto di vulnerabilità. Il disagio deriva da una scorretta introiezione della relazionalità. Il rapporto con gli altri viene vissuto come prevaricazione, si isola il diverso, il più fragile, per ragioni estetiche, sessuali o etniche. Il primato dell’estetica e della forza genera violenza. Inculcare l’idea che bisogna essere forte e bello ad ogni costo può generare un coro tragico: sei brutta, sei grassa, perché non ti uccidi. Bisogna trasmettere il messaggio che la fragilità non è una colpa, anzi a volte può essere una risorsa. Le persone più fragili sono le più sensibili».
Che cosa scatta nella mente di questi ragazzi?
«Si auto-deresponsabilizzano. Non percepiscono la responsabilità individuale. È come se la colpa di provocare sofferenze enormi venisse diluita nella colpa collettiva, come se fosse una persona terza rispetto a loro. È una questione di cultura: bisognerebbe far comprendere che il gruppo non annulla la responsabilità ma la moltiplica. Per questo è importante intervenire nelle scuole, nelle parrocchie, nei centri di aggregazione sociale. Noi andiamo nelle scuole a parlare con i ragazzi, è molto importante farlo».
Un insegnante come fa a capire quando è necessario il vostro intervento?
«Il bullismo è un fenomeno diffuso ma bisogna stare attenti a non confondere la goliardata con un reato. Il confine è sottile e per questo il compito degli insegnanti è fondamentale. Certi meccanismi sono delicati ma non bisogna mai prendere sotto gamba la violenza che è frutto di una sub cultura. Restare inerti davanti a una prevaricazione significa contribuire a causarla».
Perché c’è paura di denunciare?
«Perché è un atto di sudditanza. La denuncia espelle dall’alveo della forza, dall’autarchia. Quando ti devi conformare alla regola dipendi da altri. E poi ai bambini s’insegna che bisogna difendersi da soli».
Dopo le denunce scattano forme di vendetta tra i ragazzi?
«Di solito no, dopo la denuncia di solito si tende a conformarsi alle regole».
Viviamo nell’epoca della continua esaltazione della forza, bisogna trasmettere il messaggio che la fragilità non è una colpa