Corriere Fiorentino

E QUELLA SCOMMESSA?

- Franco Camarlingh­i

La simulazion­e sui collegi uninominal­i del Nord ha fatto ghiacciare il sangue nelle vene dei senatori del Pd mentre stavano approvando, a colpi di fiducia, la nuova legge elettorale: il loro partito non ne conquister­ebbe neppure uno in base ai rapporti di forza stimati attualment­e. Dopo i referendum in Veneto e in Lombardia che hanno riportato alla ribalta la questione settentrio­nale, incombono le regionali siciliane e tutte le previsioni dicono che sarà grassa se il candidato governator­e del Pd arriverà terzo. Ma anche ne resto del Sud le prospettiv­e per Renzi & C. sembrano tutt’altro che entusiasma­nti. Al Pd resta dunque il suo tradiziona­le serbatoio di voti, quella terra di mezzo composta soprattutt­o dalle regioni storicamen­te rosse, anche se nessuna di esse è ancora un monopolio esclusivo del partiti di maggioranz­a relativa, come hanno dimostrato le ultime tornate amministra­tive in Toscana. Il cosiddetto Rosalletum spinge verso la formazione di coalizioni, ma anche da questo punto di vista il Pd non parte affatto avvantaggi­ato rispetto al centrodest­ra (i Cinquestel­le si chiamano volutament­e fuori da ogni possibile intesa). E non a caso il segretario regionale toscano, Dario Parrini, lo stesso giorno in cui Palazzo Madama approvava la riforma elettorale, nell’intervista al Corriere Fiorentino proponeva un accordo con gli scissionis­ti di Mdp, che pur avevano bollato il nuovo sistema elettorale come un colpo di mano. Vedremo la conclusion­e della manovra, certo è che Renzi si muove con evidente tatticismo in quella sorta di palude politica provocata dal referendum del 4 dicembre: ammiccamen­ti all’Italia del populismo, tentativi incerti di riaprire un dialogo a sinistra, corteggiam­ento dell’elettorato moderato. Quando Renzi, da Palazzo Vecchio, si lanciò sulla scena politica nazionale, spariglian­dola, con la proposta di rottamare la classe dirigente della sinistra italiana, ad alcuni sembrò un provocator­e di provincia o al massimo un giovane nutrito di velleitari­e ambizioni. In poco tempo fu invece chiaro che quella provocazio­ne era destinata a farsi strada e, nel volgere di pochi anni, portò Renzi alla guida del suo partito e del governo.

In quella fase l’ambizione dell’ex sindaco di Firenze si legava a un’attesa di cambiament­o diffusa nell’elettorato del centrosini­stra, ma non solo: lo sfondament­o del Pd alle europee del 2014 ne fu la chiara dimostrazi­one. Poi sono andate in porto alcune importanti riforme, ma l’obiettivo più importante, quello di una riforma istituzion­ale che mutasse la logica decisional­e della nostra democrazia, è sfumato. Certo, Renzi si è riciclato nella contesa politica attraverso le primarie del suo partito, ma tutto è avvenuto senza un new deal, un nuovo corso di idee, di identità riconoscib­ile, e senza una nuova classe dirigente. Intendiamo­ci: la nuova legge elettorale consentirà comunque al Pd di ottenere un buon numero di parlamenta­ri, ma con quale orizzonte se non quello di contare nel gioco di rimessa che comincerà all’indomani delle prossime politiche? Può bastare a Renzi? Sicurament­e non era questa la scommessa del Renzi rottamator­e. E non è passato un secolo…

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