Corriere Fiorentino

Quell’amicizia sui pedali con il comunista Martini

Il pratese si allenava insieme all’ex ct della Nazionale, che nel dopoguerra lo difese in tribunale

- Mauro Bonciani

Comunista e partigiano, camicia nera e repubblich­ino. Potrebbe essere il titolo del racconto dell’amicizia tra Alfredo Martini e Fiorenzo Magni, nata nonostante l’apparentem­ente irriducibi­le distanza politica e rimasta saldissima per tutta al vita. Alfredo Martini, da Sesto Fiorentino, Fiorenzo Magni da Vaiano: ciclisti, campioni, soprattutt­o amici.

Martini e Magni erano diventati amici anni prima, nel 1936, ed avevano pedalato spesso insieme in allenament­o, ma Martini, comunista, di famiglia operaia, aveva scelto la Resistenza, portando informazio­ni e materiali in bicicletta ai partigiani sul Monte Morello, mentre Magni, già ciclista di un certo rilievo, aveva aderito alla Repubblica Sociale e faceva parte della milizia volontaria di Salò.

Nel gennaio 1944 Magni era a Valibona, con la milizia, Martini nella sua Sesto e il primo scontro in Toscana tra partigiani e repubblich­ini si chiuse con tre partigiani uccisi, tra i quali Lanciotto Ballerini. La guerra era vicina, il fronte anche ma i due si ritrovano in via Pratese per fare una sgambata in bicicletta nella primavera ’44. «Tra una pedalata e l’altra — raccontò anni dopo Martini — gli dissi di stare attento: “Non lo vedi che il fascismo è finito? Pensa a te Fiorenzo”. E lui mi rispose: “Non ti preoccupar­e Alfredo. Ho dovuto arruolarmi nella milizia, perché sennò mi mandavano chissà dove, invece così sono vicino a casa, a Vaiano, dove si fanno le guardie lungo la ferrovia e basta. Tu piuttosto vieni via dalla montagna, ci saranno retate”».

Il 30 gennaio di tre anni dopo, era il 1947, davanti alla Sezione Alfredo Martini, ex Ct della nazionale di ciclismo, con Fiorenzo Magni speciale della Corte d’Assise d’Appello di Firenze, si tenne il processo per omicidio e collaboraz­ionismo con il nemico per la strage di Valibona con Magni tra gli imputati (e latitante). L’avvocato della difesa chiamò Bartali e Martini, e se Bartali non venne, Martini prese la bici e, fedele all’amicizia, arrivò da Sesto: «Entrai nell’aula tra due ali di folla. La tensione era alta, tanti mostravano chiarament­e la loro avversione verso i fascisti chiamati alla sbarra. Io dissi quello che mi dettava la mia coscienza, che per quello che sapevo io Fiorenzo Magni era una persona perbene. Nessun fiatò», raccontava ancora Martini. Alla fine Magni fu assolto in arte per insufficie­nza di prove e in parte per l’amnistia di Togliatti, ma non tornò più ad abitare nel Pratese e non parlò mai di quei fatti. Andò al nord, a Monza, dove è morto nel 2012, pianto dal mondo del ciclismo e dall’ex Ct della nazionale. Che anche al funerale a Monza spiegò: «Fiorenzo? Ci lascia la sua forza, la sua saggezza, il suo esempio».

Il ricordo di Alfredo «Davanti ai magistrati che lo accusavano di omicidio, io dissi: Fiorenzo è perbene»

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