Perché bocciamo la scuola ora che tenta di avvicinarsi al lavoro?
Caro Direttore, sono molto d’accordo con l’editoriale di Gaspare Polizzi uscito sul Corriere Fiorentino e vorrei svilupparne alcune considerazioni sull’alternanza scuola lavoro su cui hanno protestato gli studenti. A parte la formula vergognosa dello slogan dei ragazzi («Non siamo operai!») giustamente stigmatizzata da Marco Bentivogli (CISL), vergognosità di cui gli stessi studenti non sembrano essersi resi conto e che manifesta un mutamento di mentalità profondo, vorrei portare qui la mia esperienza. Non farà statistica, ma personalmente non ho mai sentito uno solo dei nostri ragazzi lamentarsi della scuolalavoro e anzi tutti me ne hanno parlato con soddisfazione o entusiasmo. Certamente ci saranno imperfezioni e in taluni casi forse addirittura sfruttamento, ma l’impressione è che l’operazione sia stata e possa essere considerata positiva. Per decenni abbiamo detto che la scuola italiana è scollata dal mondo del lavoro: viene fatto un provvedimento che va nella direzione di provare a risolvere questo problema e subito si grida all’aziendalizzazione della scuola e allo sfruttamento del lavoro gratuito. Quali sono le radici culturali di questo atteggiamento schizoide del dibattito pubblico? Ne propongo tre: (1) l’assenza di una cultura scientifica diffusa coi suoi due pilastri di attenzione ai fatti e razionalità; (2) il declino dell’educazione cristiana con la consapevolezza profonda che essa dava dell’imperfezione connaturata all’uomo e ad ogni sua conquista, che agiva come stimolo realistico, liberale e progressivo (si migliora quel che c’è, in un processo di asintotico avvicinamento alla perfezione, che non è, né mai sarà di questo mondo); (3) l’aver portato la società contemporanea alle estreme conseguenze lo spirito di critica illuministico, di per sé emancipatorio, ma che radicalizzato si rovescia paradossalmente in una forma di immobilismo: se ogni proposta per principio fa schifo, allora tanto vale lasciare tutto com’è.