IL PAPPO, IL DINDI, I NOSTRI MUSEI
C’è un sottile paradosso nell’appello con cui nei giorni scorsi la direttrice della Galleria dell’Accademia ha denunciato sul Corriere Fiorentino le angustie in cui è costretta ad operare. Da un lato Cecile Hollberg lamenta la scarsità di personale e in particolare di profili qualificati. E fin qui nulla di inedito: le carenze negli organici del Beni culturali non costituiscono una novità. L’Italia dispone di un patrimonio artistico inestimabile e lo gestisce con risorse inadeguate. A stupire è la seconda parte delle doglianze, in cui la direttrice lamenta l’assenza di spazi adeguati, che la costringe a lasciare il suo ufficio ai revisori dei conti, portandosi il lavoro a casa, come i mezzemaniche di una volta. Da una quindicina di anni, infatti, Firenze è piena di spazi ampi e centrali, appartenenti al demanio civile o militare, inutilizzati o in cerca di destinazione. Nella sola piazza San Marco dove si affaccia il Museo dell’Accademia si trovano il grande palazzo dell’ex Comiliter, oggi sottoutilizzato, l’ex Circolo Ufficiali di Presidio, con la palazzina che il granduca Leopoldo fece erigere per la sua amante Livia, vuoto e separato da uno storico giardino dall’ex sede della Corte d’Appello. Nel Sos di Hollberg, già raccolto dal sindaco Nardella che investirà del caso il ministro dei beni culturali, Dario Franceschini, c’è però qualcosa che va oltre le doglianze per la carenza di spazi e di risorse. Ed è la consapevolezza che un museo non è soltanto biglietteria e toilettes, bookshop e merchandising, ma un patrimonio da promuovere con una tenace capacità progettuale. Capacità che dev’essere in grado di esprimere anche Firenze, superando le grette gestioni dell’esistente e decidendosi a governare un movimento forestieri che altrimenti rischia di soffocarla. Nel suo editoriale sul Corriere della Sera di venerdì scorso, Ernesto Galli Della Loggia, prendendo spunto dalla realtà della capitale, ha denunciato il rischio che «le nostre città restino schiacciate nella morsa micidiale del degrado delle periferie da un lato e della distruzione dei centri storici a opera della barbarie turistica dall’altro». Le nostre periferie non conoscono un degrado analogo ai suburbi romani, ma un centro da salvare c’è. Anche riflettendo sul significato di appelli come quello con cui una manager tedesca ha ricordato a noi fiorentini che non esistono solo il pappo e il dindi. «Risolvere i problemi dell’Accademia è una questione di civiltà», ha detto Nardella. Ora bisogna che le istituzioni lo facciano davvero.