Addio Certosa
Fine di un’era Il laboratorio di restauro dei libri è già stato svuotato e padre Sisto è pronto ad andar via Il monastero dice addio ai due cistercensi rimasti. E nelle cantine arriva il teatro romano di Palazzo Vecchio
«Dove dormo stasera? All’abbazia di Casamari, nella mia Ciociaria». L’immedesimazione nel suo lavoro è tale che padre Sisto, classe 1939, chiuso nel suo laboratorio di restauro di libri antichi alla Certosa dal 1958, per un attimo ieri ha pensato di seguire le sue presse e i sui smacchiatori mentre li caricavano su un camion diretto verso Frosinone. Ma anche ieri notte è rimasto lì. «Ci ho lavorato fitto fitto fino a ieri sera» ha detto versando mezza lacrima. Ha consacrato 60 anni della sua vita a quel mestiere. Adesso: «A che servo più?».
Alla Certosa il trasloco è nelle fasi finali. Hanno iniziato dalle cantine: una richiesta arrivata «direttamente dal soprintendente Andrea Pessina: ci ha telefonato dicendo che vuol portare qui pezzo per pezzo tutto il teatro romano degli scavi sotto Palazzo Vecchio». Il passaggio di consegne tra i monaci cistercensi e la comunità di San Leonino è imminente e padre Sisto non si dà pace. «Rimarremo ancora qui un altro po’, questione di poco» lo rassicura il confratello, l’ultimo rimasto insieme al decano restauratore. «C’è da aspettare il via libera della soprintendenza, il permesso dell’Avvocatura dello Stato, la firma definitiva dal Demanio, e — sostiene il monaco più giovane — pare che vogliano aspettare fino all’ultimo, fino a quando avremo svuotato tutto il monastero, fino all’ultima cella e ogni singola suppellettile. Ma io gliel’ho detto chiaro e tondo: la mia lavatrice viene via con me, resta finché dormo qui».
Dopo 59 anni i monaci cistercensi stanno dicendo addio ai settecento anni di storia e di grande patrimonio artistico della Certosa, basti pensare agli affreschi del Pontormo. Sostituirono i certosini e trasformarono quello che era uno studentato per sacerdoti, venuto meno per il mancato ricambio generazionale, in un luogo di preghiera e isolamento, visite culturali guidate, laboratorio di restauro e vendita di liquori, dolciumi, lieviti e prodotti da erboristeria. C’è chi ricorda le passeggiate domenicali per assaggiare e acquistare «quei liquorini buoni fatte con le erbe», c’è chi adesso sta aprendo il suo laboratorio di restauro dopo aver imparato i segreti di carta e di colla proprio da padre Sisto. «Abbiamo fatto tanto — sospirano — adesso toccherà a qualcun altro». Lo scorso anno erano quattro monaci. Da settembre solo due: un archivista e un restauratore. E l’archivista non ha nemmeno modo di mettere in pratica le sue competenze, infatti sta al banco «della rivendita». «Tenere in piedi un posto così grande, che solo di rifiuti ci costa 19 mila euro l’anno, è impossibile» spiega. Anzi: «Se penso a quanto ci costa sono ben contento di andarmene e lasciare il problema a chi verrà». Alla comunità di Panzano in Chianti. Anche se «anche loro saranno due o tre, come noi» alza le spalle padre Sisto.
La burocrazia a tutti i suoi livelli — Demanio, Sovrintendenza, Comune — «non ha chiuso ancora la pratica» ma «il processo è lungo, il lavoro è iniziato da più di un anno ed è da tre che sappiamo di dover lasciare la Certosa». Le diciannove celle devono ancora essere toccate. «Sono secoli che non siamo più 19 monaci» e molte sono disabitate da così tanto tempo che non se lo ricordano nemmeno più. «Lo Stato vuole che gli rendiamo il monastero tutto vuoto. In fondo appartiene al Demanio, è giusto. Ma dai preti di Panzano non ho ancora capito se preferiscano trovare qualcosa della nostra roba o no».
Degli oltre mille quadri che abitano le stanze della Certosa, la gran parte deve essere ancora traslocata. «Le pale vanno all’Accademia — prosegue — Tutto il Cinquecento, e sono più di 120 quadri, è già alla Villa Medicea di Poggio a Caiano. Il resto andrà via in questi giorni». Ma anche solo la catalogazione «in un tale enorme spazio» diventa un problema. Il padre archivista ci scherza più: «L’altro giorno è venuto da me un funzionario della soprintendenza e mi chiede “voi qui avete un campanile e due campanelli, vero?”. Gli ho risposto che per il campanile gli bastava alzare lo sguardo. Per i campanelli è stata quasi una caccia al tesoro, uno era talmente piccolo che nemmeno mi ricordavo ci fosse e dalla foto nemmeno si riconosceva». Mal di poco: «Al burocrate interessava solo mettere una ics sul suo foglio». Giorni prima era toccato a quello che «doveva censire i crocifissi». «“Mi fa vedere il numero diciassette di questa lista?” Mi ha chiesto. Forse non sapeva che qui in Certosa ne avremo un migliaio di crocifissi, e che se non sapeva nemmeno dirmi in che stanza, in che ala, da che parte lo dovevamo cercare, si rischiava di metterci giorni».
Ora la Certosa ospiterà gli uffici soprintendenza di sotto e la Comunità San Leolino di sopra. «Il nostro ordine ha deciso — sospira ancora padre Sisto, mentre guarda gli addetti al trasloco che gli smontano il laboratorio pezzo dopo pezzo — Non riuscirò più a lavorare senza, cos’altro avrà senso?».
Tracce di malinconia In questa sala ho lavorato fitto fitto fino a ieri sera, ora me ne andrò nella mia Ciociaria, Qui non servo più