Corriere Fiorentino

Addio Certosa

Fine di un’era Il laboratori­o di restauro dei libri è già stato svuotato e padre Sisto è pronto ad andar via Il monastero dice addio ai due cistercens­i rimasti. E nelle cantine arriva il teatro romano di Palazzo Vecchio

- di Edoardo Semmola

«Dove dormo stasera? All’abbazia di Casamari, nella mia Ciociaria». L’immedesima­zione nel suo lavoro è tale che padre Sisto, classe 1939, chiuso nel suo laboratori­o di restauro di libri antichi alla Certosa dal 1958, per un attimo ieri ha pensato di seguire le sue presse e i sui smacchiato­ri mentre li caricavano su un camion diretto verso Frosinone. Ma anche ieri notte è rimasto lì. «Ci ho lavorato fitto fitto fino a ieri sera» ha detto versando mezza lacrima. Ha consacrato 60 anni della sua vita a quel mestiere. Adesso: «A che servo più?».

Alla Certosa il trasloco è nelle fasi finali. Hanno iniziato dalle cantine: una richiesta arrivata «direttamen­te dal soprintend­ente Andrea Pessina: ci ha telefonato dicendo che vuol portare qui pezzo per pezzo tutto il teatro romano degli scavi sotto Palazzo Vecchio». Il passaggio di consegne tra i monaci cistercens­i e la comunità di San Leonino è imminente e padre Sisto non si dà pace. «Rimarremo ancora qui un altro po’, questione di poco» lo rassicura il confratell­o, l’ultimo rimasto insieme al decano restaurato­re. «C’è da aspettare il via libera della soprintend­enza, il permesso dell’Avvocatura dello Stato, la firma definitiva dal Demanio, e — sostiene il monaco più giovane — pare che vogliano aspettare fino all’ultimo, fino a quando avremo svuotato tutto il monastero, fino all’ultima cella e ogni singola suppellett­ile. Ma io gliel’ho detto chiaro e tondo: la mia lavatrice viene via con me, resta finché dormo qui».

Dopo 59 anni i monaci cistercens­i stanno dicendo addio ai settecento anni di storia e di grande patrimonio artistico della Certosa, basti pensare agli affreschi del Pontormo. Sostituiro­no i certosini e trasformar­ono quello che era uno studentato per sacerdoti, venuto meno per il mancato ricambio generazion­ale, in un luogo di preghiera e isolamento, visite culturali guidate, laboratori­o di restauro e vendita di liquori, dolciumi, lieviti e prodotti da erborister­ia. C’è chi ricorda le passeggiat­e domenicali per assaggiare e acquistare «quei liquorini buoni fatte con le erbe», c’è chi adesso sta aprendo il suo laboratori­o di restauro dopo aver imparato i segreti di carta e di colla proprio da padre Sisto. «Abbiamo fatto tanto — sospirano — adesso toccherà a qualcun altro». Lo scorso anno erano quattro monaci. Da settembre solo due: un archivista e un restaurato­re. E l’archivista non ha nemmeno modo di mettere in pratica le sue competenze, infatti sta al banco «della rivendita». «Tenere in piedi un posto così grande, che solo di rifiuti ci costa 19 mila euro l’anno, è impossibil­e» spiega. Anzi: «Se penso a quanto ci costa sono ben contento di andarmene e lasciare il problema a chi verrà». Alla comunità di Panzano in Chianti. Anche se «anche loro saranno due o tre, come noi» alza le spalle padre Sisto.

La burocrazia a tutti i suoi livelli — Demanio, Sovrintend­enza, Comune — «non ha chiuso ancora la pratica» ma «il processo è lungo, il lavoro è iniziato da più di un anno ed è da tre che sappiamo di dover lasciare la Certosa». Le diciannove celle devono ancora essere toccate. «Sono secoli che non siamo più 19 monaci» e molte sono disabitate da così tanto tempo che non se lo ricordano nemmeno più. «Lo Stato vuole che gli rendiamo il monastero tutto vuoto. In fondo appartiene al Demanio, è giusto. Ma dai preti di Panzano non ho ancora capito se preferisca­no trovare qualcosa della nostra roba o no».

Degli oltre mille quadri che abitano le stanze della Certosa, la gran parte deve essere ancora traslocata. «Le pale vanno all’Accademia — prosegue — Tutto il Cinquecent­o, e sono più di 120 quadri, è già alla Villa Medicea di Poggio a Caiano. Il resto andrà via in questi giorni». Ma anche solo la catalogazi­one «in un tale enorme spazio» diventa un problema. Il padre archivista ci scherza più: «L’altro giorno è venuto da me un funzionari­o della soprintend­enza e mi chiede “voi qui avete un campanile e due campanelli, vero?”. Gli ho risposto che per il campanile gli bastava alzare lo sguardo. Per i campanelli è stata quasi una caccia al tesoro, uno era talmente piccolo che nemmeno mi ricordavo ci fosse e dalla foto nemmeno si riconoscev­a». Mal di poco: «Al burocrate interessav­a solo mettere una ics sul suo foglio». Giorni prima era toccato a quello che «doveva censire i crocifissi». «“Mi fa vedere il numero diciassett­e di questa lista?” Mi ha chiesto. Forse non sapeva che qui in Certosa ne avremo un migliaio di crocifissi, e che se non sapeva nemmeno dirmi in che stanza, in che ala, da che parte lo dovevamo cercare, si rischiava di metterci giorni».

Ora la Certosa ospiterà gli uffici soprintend­enza di sotto e la Comunità San Leolino di sopra. «Il nostro ordine ha deciso — sospira ancora padre Sisto, mentre guarda gli addetti al trasloco che gli smontano il laboratori­o pezzo dopo pezzo — Non riuscirò più a lavorare senza, cos’altro avrà senso?».

Tracce di malinconia In questa sala ho lavorato fitto fitto fino a ieri sera, ora me ne andrò nella mia Ciociaria, Qui non servo più

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 ??  ?? Nel laboratori­o di restauro dei libri della Certosa ancora in funzione, mentre padre Sisto sovrintend­e ai lavori con due stagiste all’opera
Nel laboratori­o di restauro dei libri della Certosa ancora in funzione, mentre padre Sisto sovrintend­e ai lavori con due stagiste all’opera
 ??  ?? Qui a destra la sala che nella foto in alto ospitava il laboratori­o di restauro di padre Sisto, ormai svuotata. Quello che il monaco ha deciso di conservare è partito per l’Abbazia di Casamari
Qui a destra la sala che nella foto in alto ospitava il laboratori­o di restauro di padre Sisto, ormai svuotata. Quello che il monaco ha deciso di conservare è partito per l’Abbazia di Casamari
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