Un teatro di porcellana nelle stanze dei nobili
Il marchese Carlo Ginori aveva il talento della vendita e del commercio: nel 1754 fece allestire per questo nella sua villa a Doccia, già appartenuta ai Buondelmonti, una gran galleria delle sue migliori produzioni. Vi faceva bella mostra di sé un enorme camino, che oggi si trova nel disgraziato museo di Sesto Fiorentino, che ha subito infinite traversie negli ultimi decenni. Gaspero Bruschi, che sovrintendeva ai lavori, insieme a Domenico Stagi, «pittore di architetture e prospettive», scriveva al nobile imprenditore che «se V. E. vi vuole quelle ambrogiette (ossia mattonelle, ndr), come me ne dette motivo, favorirà farle qui condurre dalla sua dimora di Firenze». Il modello era la produzione di Delft, che dal 1600 aveva dato il proprio nome a tutto ciò che si creava in Olanda, creando un colore che recava lo stesso nome della città. Nelle maioliche, dentro un tondo, che ai quattro lati reca immagini floreali, si vedono scene di vita campestre. La porcellana si piegava alla lezione scenografica dei Galli Bibiena, che avevano portato in tutta Europa il modello di un teatro fantastico, aereo, iperbarocco. La recente mostra La fabbrica della bellezza al museo del Bargello ha benissimo raccontato come e quanto nei laboratori di Sesto i modelli artistici dal Rinascimento al Settecento venissero rivisitati, e trovassero nuova vita sotto forma di porcellana per le stanze dei palazzi aristocratici.