Corriere Fiorentino

«Legge degli anni Trenta, intervenga il Parlamento»

Il costituzio­nalista Merlini: è il Parlamento che deve prevedere pene più severe, non i sindaci

- di Valentina Marotta

«La Procura ha chiesto un’ammenda da trecento euro? Sanzione da codice d’altri tempi, inadeguata alle emergenze dei nostri giorni». Stefano Merlini, docente di diritto costituzio­nale, commenta così gli sviluppi del processo ai locali di via de’ Benci.

«La Procura ha chiesto un’ammenda da trecento euro? Sanzione da codice d’altri tempi, prevista per l’ubriaco occasional­e che urlava di notte. Ma inadeguata per i bon vivant che ai giorni nostri affollano le strade del centro storico e avvelenano la vita dei fiorentini». È scoraggiat­o Stefano Merlini, docente di diritto costituzio­nale e fondatore del centro studi Calamandre­i e Barile. Anche lui ha una storia simile a quella di altri fiorentini: è fuggito dal centro storico per colpa del traffico infernale e della movida e si è rifugiato in collina, ormai da due anni.

La Procura ha chiesto una pena troppo lieve per i diciotto titolari di pub e bar di via de Benci al processo per la movida molesta?

«Sì, ma non è colpa del povero pubblico ministero che ha fatto il suo lavoro: ha sollecitat­o una condanna al pagamento di un’ammenda di 309 euro, la pena massima prevista dalla legge per chi disturba la quiete pubblica. La colpa è del Parlamento: non si rende conto che gruppi di persone s’impossessa­no di quartieri della città con danno gravissimo alla vita di chi ci abita. Così l’articolo 659 del codice penale resta com’è. Ma c’è dell’altro».

Ci spieghi.

La rinuncia Sono nato e vivevo in piazza Indipenden­za, il caos della notte e il traffico infernale mi hanno costretto a fuggire in collina

«La norma è appunto inadeguata: è contenuta nel codice penale Rocco, redatto negli anni Trenta. All’epoca al massimo chi provocava fastidio era un singolo ubriaco: per questo il disturbo alla quiete pubblica era considerat­o tra i reati più lievi e classifica­to tra le contravven­zioni. Negli ultimi anni, il chiasso, gli schiamazzi hanno assunto tutt’altra valenza: costituisc­ono un disturbo di massa sistematic­o e dovrebbero esser puniti più severament­e».

Ma il legislator­e non ascolta.

«Non vorrei che per sopperire alle mancanze del Parlamento, i sindaci, come il mio amico Dario Nardella, cominciass­ero a inventarsi reati, come l’ultima previsione dell’ammenda colossale per chi si ferma con l’automobile a contrattar­e il pezzo della prestazion­e sessuale della passeggiat­rice o per chi bivacca in piazza Indipenden­za».

I residenti si sentono abbandonat­i a loro stessi, invece secondo lei i Comuni sono addirittur­a troppo interventi­sti.

«C’è il pericolo che si arrivi a un codice penale fatto di ordinanze dei sindaci. Ma così facendo si viola il principio costituzio­nale per cui reato e pena devono essere previsti solo da una legge votata dal Parlamento. L’Italia così rischia di diventare un vestito di Arlecchino fatto di divieti puniti con un’ammenda».

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Stefano Merlini, professore di diritto costituzio­nale

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