«A proposito di Marta»
Il confronto tra padre e figlia nell’ultimo libro di Pierluigi Battista Oggi la presentazione alla Red
(...) Eppure, vintage o non vintage, tantissimi oggetti che nella vita mi sono stati molto familiari, e che sono l’arredamento della mia mente, davvero non esistono più, irrevocabilmente, e mi mancano molto. Cose che hanno modellato il mio spirito, formato la mia mentalità. Che hanno condizionato un certo modo di stare al mondo: ma ora molte di quelle mie cose sono sparite. E da quali altre sono state rimpiazzate? Ricordare gli oggetti che hanno avuto grande importanza per me e per noi, e che mia figlia e i nostri figli non conosceranno mai, è forse un’operazione nostalgica. (...) Però è anche un utile parametro per misurare quanto sia vorticosamente cambiato il mondo in pochi anni. (...)
In un suo personalissimo e tenerissimo «inventario sentimentale», per esempio, Giacomo Papi si è concentrato molto bene e ha avviato questa opera di scavo passando in rassegna, alla rinfusa, una prima galleria di oggetti oggi perduti ma per me, per lui, per noi, ancora familiari in una forma quasi struggente: «le otturazioni d’oro, le radioline la domenica, le terze visioni, la carta carbone, le cartoline illustrate, le caramelle Charms, i treni di notte, le pattine». Eccetera eccetera. Tutte cose vecchie, come lo stradario cartaceo del tassista non al passo con i tempi. Le otturazioni d’oro: beh, erano quelle che la portinaia aveva sui denti davanti e che mia figlia fissava imbambolata come fossero diamanti incastonati nella sua bocca. Le terze visioni al cinema: difficile spiegarle, al tempo del video on demand, che cosa siano. E le radioline la domenica per sentire «Tutto il calcio minuto per minuto», cosa mai saranno per lei, forse gli attrezzi di un rito primitivo? E quindi dovrei
Le cose a me carissime che non conosce sono un’infinità A me vengono in mente i finestrini dei treni che si potevano aprire
parlarle anche della voce inconfondibile del suo sacerdote massimo, Sandro Ciotti? Nutro la segreta aspirazione che mia figlia un giorno mi chieda cosa fossero le caramelle Charms di cui tanto parliamo, e perché ci piacessero tanto. Non vedo l’ora. (…)
Ma le cose a me carissime che mia figlia non conosce sono davvero un’infinità. Di solito vengono in mente il gettone telefonico con la canaletta in mezzo e la stessa cabina telefonica. A me vengono in mente soprattutto i finestrini dei treni che si potevano aprire, anche se nella mia infanzia il meccanismo di apertura e chiusura, con quella manovella gelida d’inverno e bollente d’estate, si inceppava sempre, e quando finalmente riuscivi a tirarli giù per salvarti dall’effetto canicola nell’era precedente la diffusione di massa dell’aria condizionata, allora infuriavano nello scompartimento (lo scompartimento? Cos’era uno scompartimento?) le tempeste di vento. Quegli stessi finestrini che hanno reso possibile la scena più esilarante di Amici miei di Mario Monicelli, quando i buontemponi prendono a ceffoni i viaggiatori che ingenuamente avevano messo fuori la testa per salutare con il fazzoletto chi restava, mentre il treno partiva. Oggi un erede di Monicelli non potrebbe più girare quella scena.(…) I tempi cambiano e del resto anch’io, per dire, pur cresciuto nell’èra dei finestrini apribili, non ho mai visto una locomotiva a vapore, se non al cinema o nelle vecchie foto. Ma nemmeno i miei genitori hanno fatto in tempo a vederla: i ritmi del cambiamento, con tutta evidenza, si sono fatti sempre più convulsi. È sparita la sveglia telefonica, e anche l’abitudine di chiedere al portiere dell’albergo la sveglia per le 7 e 30: «Mi raccomando, altrimenti perdo l’aereo». È sparito l’orologio sveglia, e sotto i trent’anni quasi del tutto pure l’orologio da polso, a meno che non sia un regalo di lusso, o un computer mimetizzato, o una cosa di plastica colorata, oppure un oggetto riciclato quale elemento decorativo, da esibire come un braccialetto o un tatuaggio, però mai adoperato per la sua precipua funzione: controllare l’ora. (...)
Spariti dalle automobili i deflettori («i deflettori? papà, che diavolo sono i deflettori?») che ti permettevano di buttare fuori la cenere senza che la brace ardente della sigaretta s’infilasse assassina nella camicia del guidatore. Sparito l’adesivo con la calamita del santo che ti proteggeva; e così pure le portiere che si aprivano al contrario, dal dietro in avanti; il rosario avvolto attorno allo specchietto retrovisore; le foto dei bimbi con la scritta sull’adesivo «Papà, non correre»; l’autoradio estraibile per non fartela rubare; la levetta per l’aria nelle partenze a freddo e tutte quelle cose mirabilmente descritte nel libro di Enrico Menduni sulla nascita del costume autostradale e su come gli italiani hanno imparato ad andare in macchina.(...)
Sparita l’arte della stenodattilografia, mentre quando ero piccolo, all’alba degli anni Sessanta, c’era addirittura una canzone che associava un ritmo (allora) moderno come il cha cha cha alla segretaria dattilografa: è morto il cha cha cha, e pure il mestiere della dattilografa. E anche quello del dimafonista, che nei giornali trascriveva con un complesso macchinario di ascolto e trascrizione, chiamato appunto «dimafono», le corrispondenze declamate dagli inviati da posti lontani, con la comunicazione che si interrompeva continuamente e il giornalista (categoria in via di estinzione, mia figlia dirà di me ai suoi nipoti: «mio padre faceva un mestiere strano che si chiamava «giornalista») che urlava all’apparecchio per farsi sentire (...)