«Leadership più debole, sarà un’impresa»
IL POLITOLOGO TARCHI
«L’obbiettivo di Renzi è il 40%? Ho seri dubbi che riuscirà a bissare l’exploit delle Europee 2014». Il rilancio del leader del Pd non convince Marco Tarchi, docente di Scienza Politica dell’Università di Firenze, secondo cui Renzi è troppo impegnato in «strategie verbali» contro gli avversari (Movimento Cinque Stelle in testa, ma anche la sinistra). E in Toscana il Pd farebbe bene a non mettere in discussione il governatore Rossi (Mdp), perché «in questa fase in cui l’immagine dei Democratici è molto appannata, andare a elezioni anticipate sarebbe un grande rischio».
Professor Tarchi, dopo la sconfitta del Pd in Sicilia Renzi cerca il rilancio. «Alle elezioni possiamo raggiungere il 40%, come alle Europee e al Referendum», ha scritto oggi nella sua Enews. Secondo lei è possibile? E da quali battaglie politiche dovrebbe passare la ripartenza del Pd?
«Come è noto, in politica non si può mai escludere alcun rivolgimento, ma sarà un’impresa pressoché disperata. Sparare una cifra così elevata è nello stile del personaggio, convinto da sempre che per galvanizzare le truppe occorra convincerle che il trionfo è ad un passo e aspetta solo di essere colto. Gli è andata bene nel 2014. Dubito che l’exploit possa ripetersi».
«Quello che ci preme — dice Renzi — è far sì che il Pd stia in mezzo alla gente, non blindato nelle chiacchiere di palazzo». È un linguaggio che strizza l’occhio all’antipolitica, eppure quel bacino elettorale sembra già monopolizzato dai Cinque Stelle. Renzi può recuperare quei voti?
«Con quale credibilità? A questo tipo di linguaggio Renzi ricorre da anni, ma l’immagine del rottamatore che si era costruito quando andava all’assalto del quartier generale del Pd è stata logorata dalla stagione di governo e soprattutto dall’insuccesso referendario, che ora vorrebbe far passare per il contrario, cancellando dalla scena il 60% che gli ha votato contro. Per ritorcere contro i populisti le loro argomentazioni può essere un bell’espediente, ma bisogna saper far seguire alle parole i fatti. Il che, stando alla testa del Pd, tipico partito dell’establishment, è impossibile».
Allo stesso tempo il segretario del Pd sta insistendo sul valore delle alleanze, dicendosi pronto ad allargare la coalizione al centro e a sinistra. Per fronteggiare il centrodestra riunito si torna al centrosinistra con o senza trattino?
«Anche in questo caso, si tratta di una strategia verbale. A Renzi preme scaricare la responsabilità della probabile sconfitta su altri, i cattivi scissionisti che anteporrebbero l’antipatia personale nei suoi confronti all’interesse della “ditta”. Ma sa benissimo che è proprio la sua leadership, con le scelte politiche che l’hanno accompagnata, a fare da pietra d’inciampo alla coalizione ipotizzata».
Mettiamo che rinasca il centrosinistra: non si tratterebbe un po’ di una sconfitta culturale prima ancora che politica per un leader che si era presentato come rottamatore del vecchio sistema?
«Prima di tutto, sarebbe una smentita della sua strategia dell’ultimo decennio, che puntava a fare del Pd un polo di attrazione per quei settori moderati della pubblica opinione che erano in libera uscita dal fronte berlusconiano, e che oggi non digerirebbero la riconversione a sinistra risultante da un accordo con Mdp e Sinistra Italiana».
Lanciando la Leopolda di fine novembre, il segretario del Pd ha scritto: «Personalmente credo nella squadra. Siamo un bel gruppo di persone e possiamo rivendicare sia i risultati del passato sia i progetti del futuro». Eppure la nuova classe dirigente che promettevano le Leopolde stenta ancora a vedersi...
«Beh, una squadra in questi anni si è costituita, eccome: è il cosiddetto Giglio magico, la cerchia di fedelissimi ampliata alla nutrita schiera dei sempre pronti a difendere il Capo in qualunque occasione, a costo di negare i più elementari dati di realtà. Basta ascoltare un’Alessia Morani o un Andrea Romano per rendersi conto di questo spirito di corpo, impenetrabile alle ragioni dell’autocritica. Il fatto è che Renzi crede nella squadra solo se questa gli dà sempre ragione. Non è il modo migliore per capire gli errori compiuti e porvi rimedio».
La Toscana è un unicum in Italia: il governatore è di Mdp, sostenuto dal Pd. Dopo il voto in Sicilia, sono partiti vari appelli a restare uniti. Ma quanto potrà andare avanti il doppio binario che vede Pd e Mdp, a cominciare dal governatore Rossi, attaccarsi frontalmente sul piano nazionale e allo stesso tempo proporre la Toscana come laboratorio politico?
«Difficile dirlo. Sarebbe però molto rischioso per il Pd, in questa delicata fase in cui la sua immagine è molto appannata, scaricare Rossi e andare ad elezioni anticipate, anche se pare che nel recente passato questa soluzione sia stata accarezzata da non pochi dirigenti toscani del partito. Forse si aspetteranno le elezioni politiche per valutare le prospettive di un divorzio o di una convivenza forzata».
Questo doppio binario non è una contraddizione che rischia di dare fiato ai Cinque Stelle anche in Toscana? O di aprire inedite praterie per un centrodestra che qui non hai mai vinto le Regionali?
«Il rischio c’è, ma molto dipenderà dai risultati del prossimo marzo e dalla composizione del futuro governo. Le ipotizzate larghe intese potrebbero mettere in crisi la già instabile coalizione di centrodestra e dare ulteriore fiato alla campagna del M5S contro i compromessi e le incoerenze della classe politica sia di destra che di sinistra».