Arte a Chinatown, per cambiare via
Prato, arte e coworking per cambiare il Macrolotto. «Ma con i cinesi il dialogo è a zero»
L’apparizione dei colori e dell’arte sulle pareti giganti del parcheggio di un mercato coperto travestito da piazza; la nascita di laboratori di coworking nei capannoni delle ex industrie di tessuti; la scomparsa di centinaia di bigliettini e ideogrammi vergati con i pennarelli sui muri delle abitazioni. E Vincenzo, 65 anni, che sfugge alla disoccupazione tenendo la strada pulita: da dipendente temporaneo di un progetto comunale per gli over 60 ad «organizzatore del decoro», pagato dai commercianti cinesi del luogo. Per vedere in controluce quello che la Chinatown di Prato diventerà è sufficiente camminare lungo via Pistoiese, l’arteria che attraversa l’area più densamente abitata da cittadini cinesi in tutta Europa. I dati dicono che qui ce ne sono circa diecimila, in compagnia di poche decine d’italiani e qualche pakistano. Gli orientali vivono e lavorano ormai da anni negli opifici che sorgono nel dedalo delle vie perpendicolari.
Lungo la strada principale disseminata di negozi, spina dorsale di un quartiere di cento ettari a un passo dalle mura storiche di Prato, sono passati i mutamenti (e le polemiche) di una città che ha cambiato dolorosamente pelle: l’esplosione industriale del dopoguerra, l’impoverimento, la ritirata italiana e la sostituzione con l’imprenditoria cinese. Adesso que- sti luoghi si preparano a cambiare ancora, e qualche segnale è già visibile. «Negli ultimi mesi sono scomparsi i bigliettini e le scritte che davano l’immagine di una Prato diversa da quella che vive solo pochi metri più in là: in questo modo si apprezzano le differenze, ma finalmente anche le continuità», racconta lucida Vittoria Ciolini, pratese che dagli inizi del terzo millennio ha stabilito in questa enclave la sede della sua galleria/laboratorio d’arte, «Dryphoto». Qui il dibattito su come cambiare i cinesi, con riferimento alla difficilissima convivenza e al diffuso disprezzo delle sue regole basilari, sembra essere stato sostituito da quello su come cambiare il posto deve vivono. Vittoria aggiunge che fra i segnali del mutamento in corso c’è la «pulizia che si sta realizzando nell’area che, come l’arte, fa la differenza». Le gigantografie apparse sui muri di alcuni edifici sono realizzate proprio dalla sua associazione. L’idea originale era quella di creare una sorta di galleria a cielo aperto, che effettivamente oggi viene visitata da numerosi gruppi, scolaresche e universitari stranieri. Pochi i pratesi, almeno per ora, che per la maggior parte hanno battezzato e vivono Chinatown come luogo alieno. Alcune opere di Dryphoto sono installate in un nuovo spazio di aggregazione al centro della strada, piazza 5 Marzo, le cui panchine sono state fatte con i resti degli alberi spezzati della tempesta di vento di quel giorno di due anni fa. In quello slargo, che un privato ha voluto concedere perché fosse utilizzato da tutti, siedono ora ogni giorno decine di cinesi; un luogo divenuto rapidamente punto di riferimento, dove sono state organizzate iniziative come il cinema estivo e la festa del cocomero. Sono questi, fino ad oggi, gli unici punti di contatto visibile fra due culture che si guardano (male) senza incontrarsi: «Lo scalino da superare — spiega Ciolini — è ancora oggi quello dell’interazione: per parlare con loro bisogna interloquire con le associazioni e non con i cittadini del quartiere. Così i contatti ci sono solo tra potere e potere». Una difficoltà che fa il paio con altri circostanze che non accennano a cambiare lungo il tragitto che unisce la stazione di Borgonuovo a porta Pistoiese: decine di sale slot, il mercato coperto dove sono in vendita bici rubate, la difficoltà degli cittadini cinesi ad abituarsi al sistema di raccolta dei rifiuti porta a porta, la condizione spesso discutibile dell’igiene dei punti di ristorazione, la vendita di prodotti non conformi alle regole Ue. Contraddizioni e limiti inestricabili anche per chi — come l’amministrazione comunale— ha deciso di investire su una progettualità mastodontica. Un piano di rigenerazione che il Comune vuole portare avanti a prescindere dal dialogo scarso con la comunità cinese: c’è semmai l’evidente sforzo di far penetrare i nuovi pratesi in questo tessuto cittadino, come dimostra la scelta di compiere i primi passi per la realizzazione del progetto «Piu». Il governo guidato da Matteo Biffoni ha appena espropriato un edificio di 2.000 metri quadri dove saranno realizzati una media-library ed una piazza. Luoghi di aggregazione pubblica e scambio, in un quartiere che oggi ha solo spazi produttivi, negozi e strade. «Tutto è fatto secondo una precisa visione, — spiega l’assessore all’Urbanistica Valerio Barberis — ovvero quella di fare di questo posto un distretto urbano creativo». Barberis ha in mente piste ciclabili, contenitori di aziende Ict, spazi per la moda e coworking per professionisti. Un’idea di futuro che prelude ad un cambiamento radicale, sostenuta nel presente da piccoli pionieri. Cinque trentenni — Emanuele Barili, Alberto Gramigni, Guido Gramigni, Luca Ficini e Cosimo Balestri — hanno deciso di affittare uno spazio e far nascere nel cuore del Macrolotto Zero (questo il nome politically correct dell’area) l’associazione culturale «chì-na». Sono architetti, chef, sviluppatori di progetti, ma soprattutto animatori di iniziative che riflettono lo spirito del quartiere che verrà. «Gli eventi che produciamo, per lo più, non sono cibo per i nostri coetanei cinesi che abitano qui: loro, alla nostra età, hanno già famiglia e sono molto proiettati sulla cultura del lavoro totalizzante», ammette Emanuele Barili. «Tuttavia chì-na è riuscita a catalizzare gli interessi e la curiosità di molti pratesi nell’area. Siamo certi che il tempo e le nuove azioni pubbliche possano indirizzare questo percorso di cambiamento».
La gallerista Lo scalino da superare è ancora quello del dialogo tra le due comunità L’assessore Abbiamo investito con l’idea di fare di questo luogo un distretto creativo