La grande truffa della «malacarne»: avariata, ma finiva in scuole e ospedali
Dal pistoiese sui tavoli di mezza Italia: 5 arresti. I Nas: niente rischi per la salute
PISTOIA «Colpa dei ragazzi, dei
magazzinieri»: era questa la formula per schivare le proteste di chi, quella carne, non la voleva. C’è anche questa intercettazione agli atti dell’inchiesta del procuratore capo Paolo Canessa e del sostituto Claudio Curreli su un giro di carne avariata finita in mense scolastiche e in ospedali di mezza Italia. Ecco perché, ieri mattina, i carabinieri del Nas di Firenze hanno portato agli arresti domiciliari i responsabili della ditta «Alessio Carni» di Monsummano Terme: Bonello Parlanti, Alessio Parlanti, Enrico Parlanti e Francesco Parlanti, e il loro commercialista Spartaco Capaccioli, anche lui finito ai domiciliari, costituivano «una struttura organizzata con mezzi e persone, con ripartizione di ruoli e compiti finalizzati alla sistematica commissione di una serie indeterminata di reati», scrive il gip Maria Elena Mele che sottolinea «la costanza e sistematicità delle condotte criminose poste in essere. Condotte che costituiscono addirittura l’ordinario modus operandi degli indagati già accertato in passato, si veda l’esito dei controlli cui dal 1988 sono stati sottoposti».
«Quella carne lì, la fesa di tacchino rimandata indietro, lasciala lì prima di smaltirla: la devo vedere», si dice ancora. Il sospetto è che anche la carne rispedita indietro fosse «allungata»: in un caso ne hanno fatto hamburger spediti fuori Toscana.
È lungo l’elenco delle stazioni appaltanti che — hanno ricostruito gli inquirenti — hanno avuto rapporti con la ditta di Monsummano Terme: dai tanti Comuni (Chianni, Crespina Lorenzana, Calenzano, Quarrata, Agliana, Montelupo Fiorentino, Dicomano e Santa Croce sull’Arno, Borgo San Lorenzo) all’Azienda di servizi alla persona di Siena, dall’Azienda ospedaliera universitaria di Careggi, fino al IV stormo Grosseto dell’Aeronautica Militare. Carne avariata anche per la missione militare in Libano e per la base militare italiana di supporto a Gibuti.
Il sindaco di Montelupo, Paolo Masetti, spiega che «il contratto è scaduto a settembre 2017» e che l’azienda «forniva al Comune di Montelupo carni bianche, maiale e salumi». La carne rossa, invece, «è stata acquistata per un’esigua quantità, 40 chili, nei mesi di luglio e agosto e quindi non è stata distribuita nelle scuole». In ogni caso il Comune di Montelupo «non ha mai riscontrato problemi in merito alla qualità della fornitura, neppure dai controlli effettuati da Nas e incaricati dell’azienda sanitaria.
Il vicepresidente del Consiglio regionale della Toscana, Marco Stella (Forza Italia) parla di «campanello di allarme» e annuncia un’interrogazione. Dura la Coldiretti che parla «un crimine particolarmente odioso poiché ai danni provocati al sistema economico e all’occupazione si aggiungono i pericoli per la salute anche per i più piccoli in una fase delicata della crescita».
Il cibo non era pericoloso per la salute, hanno attestato gli specialisti del Nas che hanno portato avanti un’inchiesta durata oltre due anni e in cui ci sono anche 19 indagati. Oltre a sei imprenditori del settore, quasi tutti residenti nel Fiorentino, e al personale preposto alla ricezione delle merci, compaiono anche militari e veterinari dell’Asl.
Nessun episodio di corruzione» è stato riscontrato tra la società e le stazioni appaltanti, ma «negligenze che hanno agevolato il disegno criminoso». In particolare sono stati riscontrati «omissioni e comportamenti conniventi», come nel caso dei veterinari coinvolti «indagati per falso ideologico»: si tratta di dipendenti pubblici che lavorano nella Valdinievole e che avrebbero rilasciato certificati senza aver neppure visto la carne. Secondo gli inquirenti nel 2006 la ditta, che è stata perquisita, ha registrato «un illecito arricchimento, attraverso l’aggiudicazione di appalti pubblici» per circa 6 milioni di euro.
L’alibi «È colpa dei ragazzi, dei magazzinieri» rispondevano dalla ditta a chi protestava sulle forniture sbagliate In azienda «Quella carne lì, la fesa di tacchino rimandata indietro, lasciala lì prima di smaltirla: la devo vedere»