L’ASSE DELLA CRAVATTA
Sempre in giacca e cravatta, però in piazza. Gli industriali fiorentini lunedì prossimo vanno all’aeroporto e chiamano chiunque condivida i loro propositi a partecipare a una manifestazione senza precedenti. Lo scopo dell’iniziativa promossa dal presidente di Confindustria Firenze, Luigi Salvadori, è duplice: 1) dimostrare ancora una volta che i pericoli per l’ambiente paventati da chi protesta contro la nuova pista sono infondati; 2) richiamare tutte le parti in gioco, dalle categorie alle istituzioni, al dovere di produrre la massima pressione per superare gli ultimi ostacoli e procedere finalmente all’avvio dei lavori. La manifestazione in giacca e cravatta non vuol certo assomigliare a una sfilata di moda; gli imprenditori vogliono richiamare anche così l’importanza di un Vespucci forte per il mondo degli affari e per la capacità di attrarre più facilmente investitori e investimenti da tutto il mondo.
Una cosa è certa: o la pista si fa adesso o non si farà mai più, con tutti gli effetti che uno stop avrebbe sull’equilibrio economico e sulle prospettive di sviluppo non solo di Firenze e dei Comuni vicini, ma di tutta l’area vasta che comprende anche Pistoia e Prato e dell’intero asse dell’Arno che unisce Firenze a Pisa. Che forse dovrebbe essere la città più interessata al buon esito del caso Peretola perché o si riesce a far decollare un vero sistema aeroportuale toscano o Firenze guarderà verso Bologna, raggiungibile in minor tempo e su treni più confortevoli.
Che siano queste le carte sul tavolo lo sa bene il governatore Rossi che due giorni fa, stufo di ritardi e rinvii, ha ribadito alla sua maniera, e cioè con una certa energia oratoria, che l’operazione aeroporto è stata e resta uno dei pilastri del suo governo, insieme con la legge per la tutela del territorio. «E a chiunque questo non piaccia — ha aggiunto — dico che può sempre presentare una mozione di sfiducia in Consiglio regionale e mandarmi a casa se ha i voti». Il riferimento era anche e soprattutto allo schieramento di sinistra dove non mancano dissensi aperti, malumori e astuzie per tentare di bloccare la nuova pista nel timore di una perdita di consensi in una Piana che si è rivelata molto sensibile alla demagogia del fronte antiaeroporto. Nel mirino di Rossi ci sono i suoi compagni di viaggio del Mdp, come il sindaco di Calenzano, Alessio Biagioli, ma anche il sindaco di Campi, Emiliano Fossi, che sembra voler fare un tandem con il sestese Lorenzo Falchi, che il Pd l’ha sfrattato dal Municipio, senza risparmiare quello di Prato, Matteo Biffoni, che sul caso Peretola ha sempre lasciato un velo di ambiguità.
Ma Rossi con la sua sfuriata ha puntato direttamente il dito anche su Roma. Il governatore si chiede perché il ministero dell’Ambiente (guidato dal ministro Galletti, bolognese, ohibò) traccheggi così tanto nel firmare il decreto di valutazione di impatto della nuova pista, e perché i parlamentari toscani non si mobilitino per chiedere conto al governo di tanta lentezza. Ma non c’è da chiudere solo la pratica dell’aeroporto di Firenze per dare qualche certezza alla Toscana sulle grandi opere. A Rossi soprattutto non va giù che dopo anni e anni il ministro Delrio abbia cancellato la Tirrenica (che avrebbe dovuto costruire Autostrade spa) sostituendola con una Aurelia a quattro corsie (che dovrà essere finanziata dallo Stato) per non dispiacere alla sinistra al cachemire dei blasonati di Capalbio. Infrastrutture per crescere sui mercati nazionali e internazionali, dunque, ma il pallino torna nel campo della politica. Con una partita che si gioca qui e a Roma e che determinerà anche il rilancio della legislatura regionale o il suo rapido esaurimento. Tra un viaggio in treno e l’altro forse c’è bisogno che entri in gioco anche il segretario del Pd. E questa volta a Renzi non basterà dire «avanti con Rossi». Bisognerà fare capire come e con quali obiettivi. Senza ambiguità. Le diatribe che dividono la sinistra italiana non possono pesare sul futuro di una regione che proprio alla sinistra, anzi alle sinistre ormai, rinnova puntualmente la sua fiducia. Anche perché la fiducia degli elettori non è un giuramento di eterna fedeltà. Neppure da queste parti.