Corriere Fiorentino

PREZZOLINI E LA LEZIONE DELLA BRUSCHETTA

- di Enrico Nistri

Una delle collaboraz­ioni giornalist­iche di cui vado più orgoglioso è quella con la Gazzetta Ticinese, giornale di Lugano fondato nel 1821 che si fregiava del blasone di più antico quotidiano liberale della Svizzera italiana.

Fra una cronaca del Mendrisiot­to e i commenti di politica internazio­nale, ospitava una bella terza pagina, di cui era collaborat­ore Giuseppe Prezzolini. Dopo il lungo soggiorno statuniten­se e il ritorno in Italia a Vietri sul Mare, il padre della Voce aveva lasciato la penisola alle prime avvisaglie del ’68 e si era trasferito a Lugano. Sul quotidiano cittadino teneva una rubrica, «La Bruschetta», che per i ticinesi aveva un titolo un po’ criptico, alludendo a un alimento poco comune alla cucina elvetica. La bruschetta è un piatto povero ma saporito, condito con quell’olio toscano che Prezzolini non si era fatto mancare neppure in America. Nella versione della nostra regione si fa con il pane «abbruscato» stropiccia­to con l’aglio e coperto da una velatura d’olio. E questa sobrietà non doveva dispiacere allo scrittore, che un po’ per indole, un po’ per i traumi del rentier passato non indenne fra due guerre mondiali, la crisi del ’29 e tre grandi inflazioni, inclinava a quell’avarizia che, come scrisse Montanelli nel suo ricordo di Roberto Ridolfi, noi toscani nobilitiam­o chiamandol­a con reverenza «parsimonia».

La spiegazion­e di quel titolo però era anche un’altra. Un piatto povero, fatto con gli avanzi, era anche quello che Prezzolini serviva ai ticinesi. «La Bruschetta» aveva il posto d’onore in terza pagina, come il vecchio elzeviro, ma un elzeviro non era. Era un elegante bric-à-brac di recensioni, aforismi, ricordi, pagine stracciate di diario. Questo patriarca delle patrie lettere, che invano Paolo VI aveva cercato di ricondurre alla fede, riservava il meglio delle sue energie alla Nazione e al Resto del Carlino, cui gli aveva aperto la collaboraz­ione Giovanni Spadolini.

Ora scopro che il sindaco di Montevarch­i ha deciso di fornire al posto della refezione istituzion­ale, agli scolari i cui genitori non pagano le quote mensa, soltanto pane, olio e sale, nonché un frutto: insomma, una fettunta, parente stretta, aglio a parte, della bruschetta. La scelta ha suscitato lo scandalo del ministro dell’Istruzione, che l’ha giudicata «divisiva». Non entro nel merito della questione sotto il profilo pedagogico

Nel piatto Forse la decisione sarebbe piaciuta allo scrittore, critico degli sperperi del welfare

o politico: probabilme­nte la decisione sarebbe piaciuta a Prezzolini, strenuo critico degli sperperi del welfare. Certo, tutti vorremmo che le insolvenze dei genitori non ricadesser­o sui figli, ma in un Occidente in cui è più facile morire d’indigestio­ne che di fame qualche pranzo a pane, olio, sale e un frutto potrà recare giovamento alla salute di stomaci spesso appesantit­i da merendine ipercalori­che. Se poi il pane sapesse di grano e non fosse precotto e l’olio fosse italiano, i ragazzi costretti a questa alimentazi­one sarebbero discrimina­ti sì, ma in positivo, rispetto ai compagni di scuola all’apparenza più fortunati. Se non rischiassi di essere linciato, oserei aggiungere al menù un bel piatto di pane, zucchero e vino, un tempo classica merenda dei figli di contadini. Un’ultima osservazio­ne.

Prezzolini visse cent’anni e probabilme­nte morì solo perché si era stancato di vivere dopo la morte della seconda moglie. E la bruschetta era il suo piatto preferito. La sua longevità non fu dovuta solo alle sue preferenze alimentari, ma certo la boccetta d’olio toscano e il fiaschetto di Chianti che si portava dietro non gli fecero male. Ai ragazzi «discrimina­ti» di Montevarch­i auguro di vivere almeno quanto lui.

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