PREZZOLINI E LA LEZIONE DELLA BRUSCHETTA
Una delle collaborazioni giornalistiche di cui vado più orgoglioso è quella con la Gazzetta Ticinese, giornale di Lugano fondato nel 1821 che si fregiava del blasone di più antico quotidiano liberale della Svizzera italiana.
Fra una cronaca del Mendrisiotto e i commenti di politica internazionale, ospitava una bella terza pagina, di cui era collaboratore Giuseppe Prezzolini. Dopo il lungo soggiorno statunitense e il ritorno in Italia a Vietri sul Mare, il padre della Voce aveva lasciato la penisola alle prime avvisaglie del ’68 e si era trasferito a Lugano. Sul quotidiano cittadino teneva una rubrica, «La Bruschetta», che per i ticinesi aveva un titolo un po’ criptico, alludendo a un alimento poco comune alla cucina elvetica. La bruschetta è un piatto povero ma saporito, condito con quell’olio toscano che Prezzolini non si era fatto mancare neppure in America. Nella versione della nostra regione si fa con il pane «abbruscato» stropicciato con l’aglio e coperto da una velatura d’olio. E questa sobrietà non doveva dispiacere allo scrittore, che un po’ per indole, un po’ per i traumi del rentier passato non indenne fra due guerre mondiali, la crisi del ’29 e tre grandi inflazioni, inclinava a quell’avarizia che, come scrisse Montanelli nel suo ricordo di Roberto Ridolfi, noi toscani nobilitiamo chiamandola con reverenza «parsimonia».
La spiegazione di quel titolo però era anche un’altra. Un piatto povero, fatto con gli avanzi, era anche quello che Prezzolini serviva ai ticinesi. «La Bruschetta» aveva il posto d’onore in terza pagina, come il vecchio elzeviro, ma un elzeviro non era. Era un elegante bric-à-brac di recensioni, aforismi, ricordi, pagine stracciate di diario. Questo patriarca delle patrie lettere, che invano Paolo VI aveva cercato di ricondurre alla fede, riservava il meglio delle sue energie alla Nazione e al Resto del Carlino, cui gli aveva aperto la collaborazione Giovanni Spadolini.
Ora scopro che il sindaco di Montevarchi ha deciso di fornire al posto della refezione istituzionale, agli scolari i cui genitori non pagano le quote mensa, soltanto pane, olio e sale, nonché un frutto: insomma, una fettunta, parente stretta, aglio a parte, della bruschetta. La scelta ha suscitato lo scandalo del ministro dell’Istruzione, che l’ha giudicata «divisiva». Non entro nel merito della questione sotto il profilo pedagogico
Nel piatto Forse la decisione sarebbe piaciuta allo scrittore, critico degli sperperi del welfare
o politico: probabilmente la decisione sarebbe piaciuta a Prezzolini, strenuo critico degli sperperi del welfare. Certo, tutti vorremmo che le insolvenze dei genitori non ricadessero sui figli, ma in un Occidente in cui è più facile morire d’indigestione che di fame qualche pranzo a pane, olio, sale e un frutto potrà recare giovamento alla salute di stomaci spesso appesantiti da merendine ipercaloriche. Se poi il pane sapesse di grano e non fosse precotto e l’olio fosse italiano, i ragazzi costretti a questa alimentazione sarebbero discriminati sì, ma in positivo, rispetto ai compagni di scuola all’apparenza più fortunati. Se non rischiassi di essere linciato, oserei aggiungere al menù un bel piatto di pane, zucchero e vino, un tempo classica merenda dei figli di contadini. Un’ultima osservazione.
Prezzolini visse cent’anni e probabilmente morì solo perché si era stancato di vivere dopo la morte della seconda moglie. E la bruschetta era il suo piatto preferito. La sua longevità non fu dovuta solo alle sue preferenze alimentari, ma certo la boccetta d’olio toscano e il fiaschetto di Chianti che si portava dietro non gli fecero male. Ai ragazzi «discriminati» di Montevarchi auguro di vivere almeno quanto lui.