Corriere Fiorentino

E c’è anche il «Leone» Hassan Khan Un mix di elettronic­a e musica araba

- Edoardo Semmola Marco Luceri

influenza gli altri — spiega — Ma penso che sia la singola opera a scoprire la forma e il mezzo di cui ha bisogno: in un certo senso è l’opera a scoprire cosa è e per cosa è stata ideata». Antico e postmodern­o convivono nella sua produzione come nel brano Taraban che ascolterem­o stasera «in cui ho rielaborat­o — racconta — due canzoni classiche arabe del primo Novecento scritte da Yusuf El Manialawy». Per questa fusione «traggo insegnamen­to dalle forme esistenti e cerco di comunicarl­e attraverso un linguaggio personale». Lo spettacolo si chiama Superstruc­ture nome che conferisce a tutti i concerti perché ognuno è un tassello di un work in progress che sta creando nel corso degli anni. «Qualche volta — dice — ne seleziono alcune tappe che eseguo in un concerto continuo, come fossero parte di un unico brano». Ne scaturisce un esperiment­o sempre nuovo in quanto nel tempo «alcuni brani vengono abbandonat­i, altri vengono aggiunti, a volte alcuni brani del mio repertorio ritornano in una forma nuova».

24 Frames è anche un ritorno alle origini, un modo per riportarci al grado zero del cinema e cioè a un’immagine di oscura bellezza, capace di contenere mille potenziali storie: «È un film inclassifi­cabile proprio per questo — spiega ancora Ahmad — come molte delle opere di mio padre. Quando andavo con lui in giro per i festival, dove spesso i suoi film venivano apprezzati, ma poco capiti, ricordo che gli si spezzava il cuore». Chiediamo ad Ahmad Kiarostami se conserva un’immagine del padre che porta nel cuore più delle altre: «Più che un’immagine è un sentimento — risponde — quello di aver vissuto accanto a un uomo che osservava il mondo dall’esterno con ironia e giocosità. Come uno che guarda la realtà da una finestra, cercando di catturarne l’essenza». Il cinema non è forse proprio questo?

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