Corriere Fiorentino

Sulle rive di un’altra Firenze

Il «mare» dolce e sciapo dell’Arno è al centro della guida letteraria di Simone Innocenti Un viaggio nei quartieri fatto sulle orme di scrittori e pittori che hanno celebrato quell’acqua

- Simone Innocenti

Una guida letteraria che mette al centro di Firenze il suo mare d’acqua dolce. È questa l’idea intorno a cui si dipana il viaggio fatto da Simone Innocenti nei quartieri della città dell’Arno. «Firenze Mare», edizioni Giulio Perrone entra a pieno titolo nella collana Passaggi di dogana, quella nata per narrare i territori italiani seguendo le tracce di scrittori o artisti che li hanno celebrati (rientra nel progetto editoriale, per dire, anche la Sicilia di Dacia Maraini o la Lisbona di Pessoa). Il volume, la cui introduzio­ne è firmata da Wlodek Goldkorn, è nato da una sorta di tributo alla memoria bambina del suo autore e sarà presentato dallo stesso Simone Innocenti, con Stefano Fabbri e Federico Gianassi, oggi alle 17 alla Sala del Giglio di Palazzo Vecchio. Qui pubblichia­mo il suo incipit

Firenze è una città di mare. Nessuno si azzardi a scuotere la testa e a dire che no, non è così. Firenze è una città di mare perché come il mare ha i turisti. E soprattutt­o perché, come al mare, tutto porta al mare. Che qua si chiama Arno e non è salato, è “sciapo” come il pane da tavola: roba per intenditor­i, cucina povera che diventa alta cucina, onde povere che si trasforman­o in un mare altro. Firenze è questo, e te ne accorgi subito. Perché tutto si fa attorno alle acque, già ci avevano pensato gli etruschi che Firenze l’avevano battezzata Birent. Un’onomatopea che però è una parola: dall’etrusco sta per “tra le acque”, a significar­e la confluenza tra l’Arno coi torrenti Mugnone e Africo. Una parola che però l’Accademia della Crusca ha bocciato perché, dicono gli accademici fiorentini, che Firenze vuol dire qualcosa altro, l’acqua non c’entra proprio nulla, Firenze deriva da Florentina che vuol dire fiorire. Fiorire inteso come sbocciare, roba di terra e non di acqua. Fiorire insomma che, come si sa, qua a Firenze – e poi nel mondo – trova la sua massima espression­e pittorica e plastica nella Primavera del Botticelli e nella figura che appunto non nasce dalla terra, ma dall’acqua.

Una precisazio­ne che serve a mettere d’accordo tutti, che qua nessuno va mai d’accordo, sulla storia si picchiano a col pi di citazione. Se ne parla oggi Di «Firenze mare», la guida letteraria di Firenze firmata da Simone Innocenti per Giulio Perrone editore se ne parla oggi alle 17 alla Sala del Giglio in Palazzo Vecchio. Insieme con l’autore Stefano Fabbri e Federico Gianassi

Una iattura e una bellezza al tempo stesso: Firenze è in fondo questo. C’è insomma questo mare senza sale che se uno osserva le vecchie carte, quelle del Cinquecent­o, vede bene. Lo vede bene perché la città ritaglia le proprie mura attorno alle acque, mura fortificat­e per proteggers­i dall’esterno e cullarsi all’interno, per ritagliars­i una spiaggia ideale e una via di trasporto. Per farsi anfiteatro, per creare torri d’avvistamen­to che siano postazioni privilegia­te, tutto per ammirare le acque. Firenze è una città che si è fatta isola, che ha unito il di qua col di là, è miracolosa, una città del litigio che ha unito il Diquad’Arno col Dilàd’Arno, e che nel- l’unire si è scissa in milioni di piccole Firenze fino a far diventare isole ogni singola casa, ogni singola via, ogni singolo quartiere. Che per ogni fiorentino che si rispetta è Il quartiere, il suo è quello vero, non un quartiere qualsiasi.

Vasco Pratolini ci ha pure fatto un romanzo: Il Quartiere, che è ambientato in Santa Croce. Poi ne ha fatto anche un altro, Le ragazze di San Frediano, in Oltrarno, la rive gauche della città, quella operaia, l’altra parte del mare, quello che ancora tiene dall’invasione dei turisti, con fatica ma ci riesce benissimo, ancora resiste. Se non si rischiasse la vita, la migliore guida possibile sarebbe quella di suonare ai campanelli dei fiorentini e farsi confidare che cosa possa essere Firenze: questa è una città polifonica dove anche berciare ha la sua funzione. Si grida mica per alzare la voce, ma come per dire “terra”, per dire che per primi si è avvistato qualcosa. Si urla per essere scalmanati, per annunciare qualcosa di leggendari­o. Si alza la voce come quando al mare si alza la sabbia, un po’ per gioco e un po’ perché è bello.

Il mare c’è sempre stato, l’Arno è un mare che si naviga, che si nuota, che ciba e che regala rena. Nelle vecchie fotografie di Alinari quel mare era solo dei fiorentini e degli inglesi. Gli inglesi, che sono gli isolani che hanno sempre amato Firenze forse perché ne hanno intuito la natura marina, che qua hanno partorito storie come Camera con vista di James Yvory, e che qua sono stati ampiamente ricambiati da un punto di vista artistico con registi come Franco Zeffirelli, maestro che ha ambientato quasi tutto il suo Tè con Mussolini a Firenze, in palazzi che si trovano in piazza Santo Spirito o in angoli di rara bellezza, come piazza Demidoff, che si trova proprio davanti al bar dove hanno girato Amici Miei. I rioni hanno quattro vessilli: il bianco, il verde, l’azzurro e il rosso. Sono bandiere, come quelle delle navi. Appartener­e a quel colore significa essere un mondo, essere isolano di quel mondo, essere sì di Firenze ma di quella parte di Firenze, di una zona ben precisa, chiusa, ristretta, eletta. Eppure la bellezza di questo posto, le facce di certi fiorentini, non possono che sfidarsi col cielo, col mare che sta sopra le teste. «Vi sono volti che paiono trapassati: dico che i loro occhi azzurri sembrano fori per cui guardi il cielo», scrive Tommaso Landolfi in Commiato, una delle tante novelle presenti in Ombre. Certi fiorentini sono proprio così, ci vedi il mare o ci vedi il cielo.

Che la natura marina sia propria di Firenze è un fatto oblungo sulla quale scrittori e pittori si sono trovati molto spesso a confrontar­si, il più delle volte in silenzio perché la natura del fiorentino è quella di attanaglia­rsi nelle assenze. C’è questa specie di maledizion­e che perseguita chi vive a Firenze e chi di Firenze scrive. Tommaso Landolfi ne è un esempio concreto, è l’uomo che «organizzav­a i suoi disastri » – per usare le parole di Cesare Garboli – e che del mare aveva il suo percorrere sulla pagina. «Ecco, questa deviazione o scarroccio o deriva / È quella che sostiene la poesia», dice in Puschiana, lirica che include ne Il tradimento.

Lo scrittore oscuro, il celebre traduttore dei russi, l’uomo che aveva fatto del gioco di azzardo la sua mania, l’artista che viveva a Firenze, sosteneva: «Il fatto è che il mare si corrugherà». Tesi che infilava in un volume poche pagine più avanti inseriva una poesia intitolata Piazza Santa Croce.

 Ritaglia le proprie mura attorno alle acque, mura fortificat­e per proteggers­i dall’esterno e cullarsi all’interno, per ritagliars­i una spiaggia  Che la natura marina sia propria di Firenze è un fatto oblungo sul quale scrittori e pittori si sono confrontat­i il più delle volte in silenzio

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L’installazi­one «Rosa dei venti» è l’installazi­one performanc­e che l’artista di San Vincenzo Giampaolo Talani ha realizzato nel 2008 trasforman­do piazza della Signoria in una spiaggia
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