Che sorpresa, tra i palazzi si gioca ancora
Tornei multietnici, sfide dopo la scuola: sorpresa, il rito sopravvive
«L’Italia fuori dai Mondiali? È colpa delle nuove generazioni» (e mica di chi, come Tavecchio, ha gestito il calcio fino a ieri); «sempre ai videogiochi, mica sui campetti a giocare...». Frasi così, negli ultimi giorni, le abbiamo sentite un po’ ovunque. E invece basta andare in giro per Firenze, fermarsi sui campetti e nelle piazze per trovarli, i ragazzi, in tuta e scarpette a dare calci al pallone.
Biondi, mori, occhi a mandorla: tutti insieme tra risate, sbuffi e felpe sudate. E gli sfottò sono al passo coi tempi: «Ma sei come Ventura!»
I Mondiali non li giocheremo, ok. Ma ogni giorno anche nella nostra città Italia-Svezia viene rigiocata, nei parchi, negli oratori, nelle piazze.
Non si è parlato d’altro, nei bar, ma anche sui giornali, in tv e radio. E sui social, la «piazza moderna». Tutti a cercare di capire perché. Chi è il colpevole? Cosa ci succede? Tra scandali, spalti vuoti e delusioni qualcuno è arrivato a domandarsi se il pallone è e se sarà ancora il gioco più amato dagli italiani. È molto di più se lo si guarda come la quinta industria del Paese. Ma c’è ancora fame e spazio per il calcio tra i ragazzini, per strada?
Firenze è una città che vive di calcio, dove il rapporto con la squadra è sempre stato speciale: il viola spunta un po’ dappertutto anche in un periodo in cui al Franchi c’è sempre meno gente e l’entusiasmo non è ai massimi (anzi). Eppure basta uscire dallo stadio, di fronte ai Campini dove si allena la Fiorentina, e la pidi sta di pattinaggio è zeppa di giovani: tredici, quattordici anni di media e tutti dietro ad un pallone. «Ventura!», inteso come ex ct, è diventato un modo per sbertucciare l’avversario. Biondi, mori, occhi a mandorla. Tutti insieme tra risate, sbuffi e felpe sudate, nonostante l’inverno.
Poco dietro, ai giardini di Campo di Marte, tra passeggini e anziani sulle panchine lo spicchio dedicato al basket è trasformato in un’area di rigore. Il portiere cerca di difendere la tribunetta bersagliata dai due compari che attentano alle amiche che li osservano. Poi scende anche il quarto, e il campo non ha più confini. Poco distante, all’oratorio di San Gervasio, don Alessandro ti racconta che « una volta le mamme venivano a lamentar- si perché il figliolo era sempre fuori, ora arrivano per dire il contrario che esce poco». Eppure quasi ogni giorno nel campetto dietro la chiesa, incastrato tra le case, verso le quat t ro t rovi qualcuno. «Leo!», chiama la mamma del ragazzo col completo della Fiorentina dal terrazzo poco sopra la traversa. È ora di andare per lui. Se chiedi cosa ne pensano dell’Italia fuori dai Mondiali rispondono in coro: «Una cosa molto brutta». Come togliere il sorriso a chi si sta divertendo. Andrea tutto serio da la sua spiegazione tattica. «Troppo difensivi all’andata, e poi tutti quei cross contro quei giganti». «È anche vero che da noi appena uno è bravo lo prendono e lo riempiono di soldi, forse si gasano un po’ troppo presto». Vabbè basta chiacchiere: «Facciamo un Mundualito?». Mentre Rodrigo se la ride: «Il Perù ce l’ha fatta». È in Italia da tanti anni, ma ha motivo per consolarsi.
I suoi connazionali più grandi li vedi nel week-end alle Cascine, dove ringalluzziti dallo spareggio di qualificazione vinto dalla loro nazionale si portano da casa anche pubblico e porte, trasformando il pratone in una susseguirsi di campi da far invidia alla Copa America... con qualche «straniero» proveniente dall’Africa. Contingente più numeroso sui «campi secondari» che compaiono in successione, e dove tra pance più o meno attempate va in scena un Italia-Resto del Mondo sui generis. Età media più bassa ma molto variegata e sempre molto «multiculty» anche nel «gabbione» di piazza Tasso.
In piazza Francia, Firenze sud, prevale il sudamericano nel fine settimana. «Praticamente lo usano solo loro», spiega il giornalaio che ha l’edicola proprio di fianco al vecchio campo pubblico. In piazza D’Azeglio, altro teatro da generazioni di partitoni senza tempo, ecco un nugulo vociante, fanno riscaldamento a modo loro: rincorrersi e sdraiarsi sulle linee laterali. Poi arriva anche il pallone, lo porta un istruttore del C.S. Lebowski che ogni giovedì organizza un corso di avviamento al calcio per le classi 2009, 2010 e 2011. «È gratuito», spiega il padre dell’unica bambina: «Vediamo se le piace, e se eventualmente l’anno prossimo iscriverla a una scuola calcio». Che gratis non lo sono più da tempo, dovendo sborsare almeno 2/300 euro l’anno per iscrizione, materiale tecnico, annessi e connessi.
Costa zero e giocano in tanti al campo dei frati del Poggetto, Rifredi. Nello storico rettangolo di piazza Elia Dalla Costa a Gavinana ci sono i minori stranieri non accompagnati, che alloggiano poco distante. Sono in quattro, tre del Gambia e uno del Mali. Il più piccolo e mingherlino è il più forte, ecco perché questo gioco fa impazzire mezzo mondo. «Oggi ne mancano due, siamo qui tutti i giorni». Si danno il cambio con i bambini della scuole attorno che suonata la campanella il terreno di gioco lo allargano a tutto quello che ci sta attorno. Qualcuno entra ed esce dal recinto dove la terra battuta ha creato una nuvola rossa e raggiunge gli amici che si divertono contro il muro poco più in là. C’è Neymar contro Messi, da non perdere. E pure una terza partita, vicino alla siepe. È buio, ora di andare. «Tornate domani?».
In effetti fa freddo in questi giorni e i pomeriggi durano sempre meno, soprattutto per chi (ormai la gran parte) rimane in classe fino alle quattro. In Piazza Savonarola, lo sguardo severo della statua osserva le foglie morte. «Non è questa la stagione in cui vengono a giocare a pallone», racconta Alessio mentre il suo mastino sbava su un legno. Ma ecco spuntare una mamma e tre bimbi. Il più piccolo, avrà 4 anni, con sciarpone della Fiorentina. Calcia forte, e grida ancora di più. «Goal!». Aveva ragione Jorge Luis Borges. «Ogni volta che un bambino prende a calcio qualcosa per strada, lì ricomincia la storia del calcio».