C’è Pinocchio nel paese delle emoji
Un libro per la prima volta traduce nel linguaggio delle «faccine» la favola di Collodi
È uscito ieri per la casa editrice fiorentina Apice Libri Pinocchio in Emojitaliano, un volume che raccoglie i frutti di un esperimento di scrittura collettiva, nato on line su Twitter, e portato sulla carta. «È la prima volta che si è arrivati a una grammatica e a un glossario che accompagna un testo creato con le emoji», spiega la curatrice del libro, la linguista Francesca Chiusaroli.
Avreste potuto leggere questo articolo in emojitaliano. Sì, proprio le piccole icone colorate con cui ogni giorno esprimiamo (sinteticamente) emozioni e stati d’animo dagli smartphone o dai computer. Avreste potuto farlo e non è detto che in un futuro, più o meno prossimo, non lo facciate. Perché nel febbraio 2016 è partito un ambizioso progetto di scrittura collettiva via Twitter che, nel giro di nove mesi, non solo ha tradotto in emojitaliano il Pinocchio di Collodi in versione originale, ma ha anche messo nero su bianco, per la prima volta, una grammatica e un glossario di questa lingua artificiale.
Tutto il lavoro è stato pubblicato in un libro, uscito ieri per la casa editrice fiorentina Apice Libri. «È — spiega Francesca Chiusaroli, docente di Linguistica dei media all’Università di Macerata, promotrice del progetto e tra gli autori del volume con Johanna Monti e Federico Sangati — il primo esperimento al mondo che è riuscito nell’obiettivo di costruire un codice condiviso. In questo libro c’è una grammatica introduttiva, creata sul mo- dello delle lingue artificiali che viene messa a disposizione insieme al glossario, rendendo così leggibile la favola di Collodi. Chiunque si voglia cimentare con la lettura può farlo, guidato anche dal testo originale a fronte».
Pochi i tentavi simili portati a termine finora: Fred Benenson ha tradotto, sempre con una community sul web, Moby Dick di Herman Melville (Emoji Dick). C’è poi il designer Joe Hale che ha realizzato un poster con 25mila emoji per rappresentare Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll. «Ma — continua Chiusaroli — sono esperimenti non interessati a costruire un codice come abbiamo fatto noi: non forniscono chiavi di lettura, non forniscono un glossario, ogni frase è tradotta da persone diverse. Sono cose per collezionisti, con il nostro Pinocchio invece vogliamo raggiungere tutti. Non ci fermiamo al pubblico degli studiosi, ci piacerebbe che arrivasse nelle scuole, nei corsi universitari».
Dodici-tredici i traduttori italiano-emoji (tutti legati alla community on line «Scritture brevi») che giornalmente e gratuitamente hanno lavorato alla costruzione di un palazzo di segni e parole: «Ognuno proponeva su Twitter quello che voleva. Poi man mano che andavamo avanti facevamo una selezione e trasferivamo le voci scelte nel dizionario digitale. Ogni giorno bisognava andare a guardare se una parola c’era già e quindi utilizzavamo quella. La cosa più bella è che verso la fine, visto che la ricorsività del lessico di un autore è abbastanza normale, i tweet dei nostri traduttori erano tutti uguali. Quindi si è rea- lizzato il sogno per cui c’erano pochissime difformità».
Certo, fa uno strano effetto vedere stampato su carta un lavoro nato e sviluppato sul web: «Farci un libro — spiega la linguista — è stata una mia idea. Questo è un unicum che ha avuto una sua collocazione storica di 9 mesi. Se ci dovessi mettere le mani adesso come prodotto digitale sarebbe scaduto, anche perché nuove emoji arrivano in continuazione e cambiano in qualche modo la rappresentazione delle frasi. Dunque, ho voluto che rimanesse per sempre la nostra versione». Il pinocchio disegnato con il naso lungo è arrivato nel repertorio delle emoji (tutto il lavoro si è svolto su un dizionario digitale creato su Telegram) a progetto già iniziato: «Ma abbiamo preferito mantenere la scelta iniziale, quella del “ragazzo che corre” perché è l’espressione più tipica di Pinocchio, mentre quando è burattino diventa “robot”. L’icona con il naso lungo invece è stata utilizzata per rendere il termine “bugia”».
Per la traduzione spesso sono stati utilizzati riferimenti letterari. Per esempio la parola «colpa» è rappresentata con la sequenza «uomo-donna-mela», su ispirazione dell’immagine biblica; «Geppetto» è il «buon padre» (uomo-cuore), mentre in assenza dell’emoji per il «Grillo parlante» gli autori si sono affidati alla critica letteraria che descrive il personaggio come un essere dalla voce gracchiante, simbolo della morale tradizionale (cappello da laureato-tromba). «A volte si pensa che sia difficile rendere i concetti astratti, ma non è vero, perché in tutte le lingue si utilizzano le metafore. In realtà la difficoltà maggiore l’abbiamo trovata nel tradurre un elemento come farfalla che non esisteva. E l’abbiamo fatto mettendo insieme il bruco e un aereo».
Il rimando al linguaggio preistorico, ai pittogrammi viene spontaneo. Tant’è che anche le pagine stampate trasmettono, nel loro insieme, un certo senso artistico. «La disponibilità di un comune repertorio standardizzato — si legge nell’introduzione del libro — fornisce un’interessante occasione per l’indagine linguistica, in particolare nella possibilità di verificare l’effettiva portata universale degli emoji, ovvero la capacità di rappresentazione di concetti e idee in misura indipendente dalle lingue». Un’ipotesi che Umberto Eco, nei suoi studi sulla lingua perfetta, aveva definito «illusoria». Ma intanto continuano gli esperimenti. «Oggi — conclude Francesca Chiusaroli — il Pinocchio in emojitaliano, una volta spiegata la grammatica e il glossario, può essere letto senza problemi anche da un inglese».
Chiusaroli Per i linguisti è un’occasione per verificare la portata universale delle icone