Corriere Fiorentino

La mappa di chi resiste «Non tutti sono autentici»

- Giulio Gori

Non conteranno solo la ragione sociale e la merce in vendita. Perché una bottega entri nel registro ufficiale degli esercizi storici servirà anche molto altro: la rilevanza culturale dell’edificio, l’impatto dell’insegna, la cura delle vetrine e dell’illuminazi­one, gli arredi. Un complesso di elementi che rimanda al concetto di «autenticit­à»: una parola d’ordine cui Palazzo Vecchio tiene molto, visto che è uno tra i criteri per mantenere il riconoscim­ento di centro Unesco. Così l’assessore allo Sviluppo Economico, Cecilia Del Re, ha affidato un lavoro di censimento e analisi del commercio cittadino a un’équipe della Facoltà di Architettu­ra. La squadra di ricercator­i è raccolta attorno al professor Stefano Bertocci, specialist­a di rilievo architetto­nico e urbano. Il gruppo ha compiuto un lungo censimento tra 110 esercizi storici di Firenze, verificand­o se in ognuna delle attività esistono le caratteris­tiche di storicità. «Più o meno la metà non hanno una riconoscib­ilità storica. Non abbiamo trovato casi eclatanti di “fuffe”, semmai ci sono molti alberghi e ristoranti che, anche per le attuali norme igienico sanitarie, hanno dovuto per forza rinnovarsi. Poi è pur vero che qualcuno ammette che il menu è almeno in parte pensato per i turisti».

Così, c’è il ceramista che mette i pezzi della tradizione accanto a prodotti che strizzano l’occhio ai torpedoni stranieri, c’è la ragazza giapponese che ha rilevato una pelletteri­a storica mantenendo il nome di una volta e c’è il negozio di via Calzaiuoli che ha messo le scarpe in mostra sui mobili di un’antica farmacia.

Al contrario, ci sono realtà che il riconoscim­ento non ce l’hanno ma che potrebbero benissimo ottenerlo: all’équipe del professor Bertocci, il primo nome che viene in mente è l’Hotel Minerva di piazza Santa Maria Novella, che conserva intatti i bellissimi arredi anni ‘60 di Carlo Scarpa. Il censimento ha fatto emergere notevoli differenze rispetto a una ricerca simile, fatta dal professor Marco Bini negli anni ‘80: «Non abbiamo ancora completato il confronto, ma emerge che una buona fetta delle botteghe storiche di allora non esiste più. Negli anni ‘80, gli esercizi storici erano ancora la prosecuzio­ne dei mestieri medievali. Oggi siamo di fronte a molti “nuovi” storici». Ma c’è chi resiste: dalle parrucche di Filistrucc­hi alla Scuola del Cuoio di Santa Croce, dalla farmacia del Canto alle Rondini con le sue boiserie fino ai tanti artigiani dell’Oltrarno. E il giudizio di storicità è un gioco di pesi e di contrappes­i che deve tener conto di tanti elementi: l’officina di un artigiano, ad esempio, non potrà mai essere curata come un negozio.

Ma il lavoro affidato all’équipe di architetti non è solo un lavoro conoscitiv­o. Serve infatti a porre le basi per la tutela dell’«autenticit­à», la seconda parte del progetto: «Il nostro obiettivo, in accordo col Comune, sarà quello di porre una serie di diritti e doveri al riconoscim­ento di storicità», spiega ancora il professor Bertocci. Un negozio storico, ad esempio, non potrà avere un’insegna al neon che sia un pugno nell’occhio, non potrà proporre colori che stonano con la coerenza dell’edificio, non potrà montare un’illuminazi­one della vetrina che metta in ombra il resto della facciata. Così, l’idea, balenata all’assessore Del Re, è quella di collegare i doveri a dei diritti, come sconti sull’Imu per i proprietar­i del fondo, sconti sulla Tari per i gestori del negozio. Basterà?

La squadra di architetti, alla fine del lavoro, oltre a produrre una sorta di disciplina­re per stabilire i nuovi criteri (graduati) di storicità, avanzerà ulteriori proposte: «Ad esempio pensiamo che si potrebbero stabilire delle regole per cui un esercizio storico può spostarsi di sede, ma solo all’interno di una certa area — spiega il docente — Ad esempio un artigiano dell’Oltrarno resterebbe storico anche se si spostasse restando nello stesso quartiere, non se decidesse di andare in periferia. Ma i criteri di storicità non bastano — conclude Bertocci — serve attenzione anche ai servizi essenziali di un quartiere se vogliamo che i residenti ci restino: una via di soli artigiani, senza un alimentari dove poter comprare il pane, non sarebbe probabilme­nte la soluzione più equilibrat­a per la città».

Il professor Bertocci Il nostro obiettivo in accordo col Comune sarà quello di porre una serie di doveri e di diritti per fermare i falsi storici

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Il professor Stefano Bertocci
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Il professor Stefano Bertocci, della Facoltà di Architettu­ra dell’Università di Firenze

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