Corriere Fiorentino

Caparezza al Mandela «Canto la mia gabbia»

Domani il live dell’artista (verso il sold out) dopo la crisi

- Lorenzo Cipolla

Momenti difficili «Mi sono sentito prigionier­o di un ruolo, ma ciò ha alimentato la mia creatività»

Fan di Caparezza fate presto, la data fiorentina del rapper di Molfetta viaggia spedita verso il tutto esaurito. Le prevendite per il concerto di domani al Mandela si sono pressoché volatilizz­ate e restano pochissimi biglietti. Il tour di promozione del nuovo album Prisoner 709 è partito venerdì 17 novembre da Ancona: una data non casuale. I numeri c’entrano molto con il suo settimo album, a partire dai tre nel titolo: 7, come le lettere che compongono il nome dell’artista pugliese; 0, che richiama la forma fisica del cd, e 9, il numero di quelle che formano il nome d’arte di Michele Salvemini, ovvero Caparezza. Quello che il cantante si appresta a dare in pasto dal vivo ai suoi fan è un prodotto musicale figlio di un periodo difficile, iniziato con la scoperta di una malattia e la sensazione di essere in gabbia. Durante il tour estivo di Museica nel 2015 ha iniziato ad avvertire un persistent­e fischio all’orecchio. Dopo alcuni giorni la diagnosi: «Ho scoperto di essere affetto da acufene», ha dichiarato. Un problema di salute che ne ha causato un altro, interiore, che poteva farlo deviare dalla strada maestra della musica. «Fino al giorno prima mi sentivo un predestina­to», perché tutto quello che toccava, anzi, componeva, diventava oro. Poi la malattia gli ha cambiato punto di vista: tutto, i pensieri, le azioni, gli accadiment­i intorno a lui adesso lo portavano verso l’acufene. Allora subentra la crisi interiore. «Credevo che avrei cominciato ad odiarla, la musica, e mi sono sentito prigionier­o di un ruolo», ha ammesso il cantante. E così ha deciso di affrontare un percorso di autoanalis­i. Il primo passo è stato quello di demitizzar­e l’importanza della musica e del ruolo del suo personaggi­o. Ed è riuscito a mantenere la barra dritta: «Quello che mi è successo ha alimentato la mia lin- fa compositiv­a». Prendendo in prestito la formula di un altro rapper italiano, Prisoner 709 si può definire un concentrat­o di «rap psicoanali­tico» che parte con un brano molto oscuro per poi sviluppars­i in sedici tracce ora più energiche ora più calme, per concluders­i poi... questo lasciamolo scoprire a chi non ha ancora ascoltato il disco, un mix di rap, rock alternativ­o ed elettronic­a in cui si lotta contro la prigione della propria mente. Quando finisce Michele e quando inizia Caparezza? Lungo le sedici tracce si cerca la risposta. Sempre spiazzante, Caparezza cita Oliver Sacks (in Prosopagno­sia), Gustav Jung (Forever Jung, dove compare D.M.C., pioniere dell’hip pop statuniten­se con i Run DMC) e Philip Zimbardo, professore di psicologia alla Stanford University passato agli onori delle cronache per l’esperiment­o del carcere simulato a cui presero parte diversi studenti universita­ri, episodio che ha ispirato la struttura narrativa del disco.

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