UN DIRITTO INESISTENTE
Se i giudici fanno bene quando parlano solo per sentenze, i cittadini fanno ancora meglio quando commentano le sentenze solo dopo averne letto le motivazioni. La scelta del tribunale di Firenze di mandare assolti perché il fatto non sussiste i gestori dei locali di via de’ Benci intorno a cui ruota una certa movida fracassona può lasciare l’amaro in bocca e di primo acchito fa pensare al sessantottardo «vietato vietare». Ma la realtà è più complessa e a far propendere per il proscioglimento i magistrati può essere stata anche la deposizione dell’ex comandante della Polizia municipale, che ha ammesso l’impossibilità per pochi vigili di tenere a freno le intemperanze di centinaia di ubriachi. Ad impossibilia nemo tenetur, e sono finiti i tempi in cui una divisa incuteva soggezione anche appesa alla gruccia di una lavanderia. E allora come pretendere che quel che non possono fare i vigili urbani, con tanto di qualifica di pubblico ufficiale, lo facciano i titolari dei locali, al di fuori dei loro esercizi, di persona o attraverso steward o buttafuori, che in questo caso si dovrebbero definire buttadentro? Altre corti, è vero, hanno sentenziato diversamente. Ma chi ha sostenuto l’esame di filosofia del diritto sull’indimenticabile manuale Amicizia, carità e diritto di Luigi Lombardi Vallauri sa bene che, alla luce dell’interpretazione letterale o estensiva, storica o evolutiva della legge, ogni fattispecie giuridica può andare incontro alle più diverse sentenze, in un ordinamento nel quale la giurisprudenza non fa testo.
Il problema, però, è un altro. Diamo per buono che l’oste non può essere ritenuto responsabile degli eccessi degli avventori, e che i vigili intervenendo rischiano di creare problemi di ordine pubblico. Resta però il fatto che il comune cittadino, che pur abitando in centro vorrebbe alzarsi riposato la mattina prima di andare al lavoro, avrebbe diritto anch’egli a una tutela: la Costituzione prevede il diritto alla salute e al lavoro, non quello agli schiamazzi notturni. Forse l’amministrazione comunale potrebbe tenerne conto, ad esempio imponendo orari di chiusura anticipati ai locali ubicati nelle strade dove maggiori sono i disagi per i residenti, o revocando le licenze di molti dehors che sottraggono spazi preziosi alla sosta. Basterebbe la minaccia di questi provvedimenti a indurre i gestori a esercitare una più convinta moral suasion sugli avventori più intemperanti. La movida è uno dei tanti barbarismi entrati nel nostro vocabolario negli ultimi lustri: spetta a noi evitare che si trasformi in una piccola forma di barbarie.