Corriere Fiorentino

UNO STRANO DIGIUNO

Lo scorso anno la partenza da Ponte a Ema, i duelli gli organizzat­ori

- Sandro Picchi

Un Giro d’Italia senza la Toscana è una novità? Sfogliando gli almanacchi che racchiudon­o le tradiziona­li tabelle, dove il percorso del Giro sembra una vena che scorre lungo la penisola, si scopre che non è una novità.È successo per la prima volta nel 1930 quando la classifica finale non ebbe i contorni della leggenda.

Vinse, infatti, un ciclista di nome Marchisio, davanti a Giacobbe e Grandi, ma alla storia passò l’assenza di Alfredo Binda, pagato dall’organizzaz­ione per non partecipar­e. Era troppo superiore e la gente si annoiava. «Vince sempre lui», come diceva Fausto Coppi con voce indimentic­abile, riferendos­i non a Binda, bensì al professor Casamandre­i, ovvero sia Totò nel fim «Totò al Giro d’Italia». Tornando indietro, al 1930, i toscani fecero a meno di scendere lungo strade più o meno sconnesse per vedere la corsa e non risulta che abbiano perso molto.

Il secondo digiuno è molto più recente, risale al 2014, anno della vittoria di Quintana davanti a Rigoberto Uran e a Fabio Aru. Il Giro partì dall’Irlanda, da Belfast, e con un colpo di coda si ripresentò dopo tre tappe e un giorno di riposo a Giovinazzo, provincia di Bari, cittadina che forse mai avrebbe pensato — ammesso che le località pensino — di essere successiva a Belfast. Potremmo concludere, se non c’è sfuggito qualche altro caso, che soltanto in queste occasioni il percorso del Giro d’Italia ha del tutto ignorato la Toscana, anche se molte volte la regione ciclistica per eccellenza è stata appena assaggiata dalla corsa: un morso e via per altre terre e per altri traguardi.

Il fatto che una corsa parta da Israele anche per ricordare Bartali e l’aiuto che dette agli ebrei durante gli anni di guerra e che non percorra le strade della regione di Gino è abbastanza singolare, anche se non più tardi dell’anno scorso una tappa del Giro partì proprio da Ponte a Ema, dalla casa natia di Bartali e dal vicino Museo del ciclismo. Ma all’origine delle scelte di percorso, oltre che i decisivi dettagli tecnici — tappe piatte, tappe dure, tappe a cronometro, montagne, pianure e così via — ci sono anche motivi pratici, forse di poca poesia ma spesso di buona sostanza.

Non è un mistero che aggiudicar­si un arrivo o anche una più modesta partenza comporta una spesa che amministra­zioni ed enti locali concorrono a coprire. E questo dettaglio, se vogliamo sminuirne il valore chiamiamol­o pure così, ha dato origine in passato a un contenzios­o di non poco conto tra Firenze, diciamo meglio il Comune di Firenze, e l’organizzaz­ione del Giro. È successo nel 1989, quando la corsa si mosse dalla Sicilia, dalla panoramica Taormina, e si concluse a Firenze dopo aver risalito e ridisceso, forse con orgogliosa sicurezza, l’Italia. L’ultima tappa era una cronometro di 53 chilometri e 800 metri (anche i metri sono importanti) con partenza da Prato e spettacola­re arrivo al Piazzale Michelange­lo, tra glicini in fior, tifosi e transenne. Proprio le transenne furono al centro del contenzios­o tra il Comune e l’organizzaz­ione, che le aveva pretese lungo tutta la parte finale del percorso.

Firenze, allora, chiese uno sconto sulla tariffa pattuita, e fu così che mentre l’ottimo Fignon, parigino occhialuto e un po’ scontroso, concludeva la corsa in maglia rosa e mentre il successo di tappa andava al polacco Piasecki che sfiorò i 50 orari di media, si ruppe il rapporto tra la città e il Giro. Intanto Fignon stappava champagne al Piazzale, e ci fa piacere ricordarlo così perché aveva perso un Giro e un Tour nell’ultima tappa a cronometro, quando Moser usò per la prima volta le ruote lenticolar­i che all’Arena di Verona trionfaron­o quanto l’Aida e gli soffiò il Giro del 1984, e quando LeMond per otto secondi gli scippò, ma non fu reato, il Tour del 1989 nella cronometro conclusiva di Parigi.

Per molti anni il Giro ha compiuto autentiche prodezze, pari ai dribbling di Messi, per evitare Firenze, anche quando la tappa sembrava inevitabil­mente destinata a scontrarsi con le strade cittadine. Niente da fare, la corsa girava in modo magistrale sulle strade di confine e questa circonvall­azione maliziosa durò fino a quando non fu siglata la pace, nell’abbastanza recente 2009, anno in cui la tappa Lido di Camaiore-Firenze si concluse alle Cascine con il rush vincente dell’inglese Cavendish la cui ruota fischiò allegra nel lungo sprint sul viale degli Olmi. Rimane come una ferita, se vogliamo un po’ esagerare, questo Giro senza la Toscana o questa Toscana senza Giro. Le regione è ciclistica per eccellenza, ed anche senza decantare la retorica dei grandi campioni nati e celebrati in questa terra, anche senza mettere sul tavolo la ricchezza in termini di tesserati e di attività, del movimento ciclistico regionale, anche senza esagerare su quello che potrebbe essere valutato come un errore o una distrazion­e o forse sempliceme­nte come un momento di inevitabil­e mancanza di fondi, rimane la sensazione che un Giro d’Italia che non passa dalla Toscana non sia del tutto e compiutame­nte un Giro d’Italia. Ma qui, sul suolo del ciclismo, lo guarderemo sicurament­e con affetto e passione. Come se passasse sotto le nostre finestre.

 Non è un mistero che aggiudicar­si un arrivo o anche una più modesta partenza comporta una spesa che giunte comunali ed enti locali concorrono a coprire a fatica

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 ??  ?? Gino Bartali, il campione di Ponte a Ema sarà ricordato alla partenza del Giro da Israele dove è stato inserito nel Giardino dei GIusti
Gino Bartali, il campione di Ponte a Ema sarà ricordato alla partenza del Giro da Israele dove è stato inserito nel Giardino dei GIusti
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Sopra Fignon taglia il traguardo in Toscana, a sinistra l’ultimo arrivo del Giro a Firenze nell’edizione del 2009

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