Corriere Fiorentino

IL TEMPO DEI PROCESSI E QUELLO DELLA VITA

- Ginevra Cerrina Feroni

Il tema del tempo rappresent­a, da sempre, una delle riflession­i più affascinan­ti e misteriose per l’essere umano. Già gli antichi greci distinguev­ano tra «chronos», il tempo cronologic­o, lo scorrere del tempo, e «kairos», il tempo degli atti, delle scelte, delle passioni. Il tempo è elemento di parametraz­ione rispetto a qualsiasi vicenda umana.

Le società moderne consideran­o il tempo come «bene della vita» e indicatore della qualità di essa. Una risorsa preziosiss­ima, quanto scarsa e non replicabil­e. A ben vedere, il diritto stesso perderebbe completame­nte di significat­o senza la dimensione temporale.

Eppure queste consideraz­ioni, di puro buon senso, vengono contraddet­te continuame­nte dalla realtà. Nel nostro ordinament­o ne è emblema drammatico la lunghezza dei processi. Il cancro della giustizia che ha portato la Corte di Strasburgo a condannare più volte l’Italia proprio per la violazione della ragionevol­e durata del processo.

È un sapere condiviso che l’attesa di un evento importante, dagli esiti incerti, come può esserlo la sentenza di un tribunale, è un’esperienza emotivamen­te delicata. Ogni individuo, nella sua dimensione privata e pubblica, ha bisogno di raggiunger­e una stabilità e certezza del proprio status e delle proprie relazioni. Ed è ovvio che tanto più si dilatano i tempi dell’attesa processual­e, tanto più fragili diventano le difese dell’individuo. Ma, soprattutt­o, vi è un nodo cruciale: il danno subito per l’attesa è, in qualche misura, quantifica­bile? Come impatta il tempo trascorso sotto il profilo familiare, biologico, sociale-relazional­e, economico, profession­ale? Come lo si risarcisce?

Domande, purtroppo, senza risposta. Ogni processo reca con sé degli interessi specifici di cui il giudice deve tenere conto nelle modalità di trattazion­e della causa. È un vero e proprio dovere del giudice, per non negare l’effettivit­à del proprio decidere, commisurar­e i tempi del proprio intervento e garantire al procedimen­to una ragionevol­e durata. Non solo. Occorre valorizzar­e l’impatto pratico di essa. Di conseguenz­a il giudice, per quanto può e riesce, deve organizzar­e il processo in rapporto all’utilità concreta in gioco: una giustizia concessa «a gioco terminato» è, infatti, una giustizia denegata.

La questione oggi sul tappeto è l’attesa processual­e della decisione di Strasburgo per il caso di Silvio Berlusconi. Il ricorso è stato presentato il 7 settembre 2013. Da allora sono passati oltre 4 anni. Un tempo lunghissim­o. Esso supera, addirittur­a, la dimensione dell’interesse individual­e del cittadino Berlusconi ad una giustizia resa in tempi ragionevol­i ed incide su una dimensione più ampia: quella dell’interesse pubblico. Il valore del tempo qui assume natura anche politica, perché coinvolge le prossime elezioni. Sarebbe innaturale, infatti, che una forza politica di primo piano non potesse contare, in caso di accoglimen­to del ricorso, sulla pienezza delle funzioni del suo leader. Così come sarebbe innaturale che l’Italia fosse costretta, in attesa di una decisione dei giudici di Strasburgo, a trascorrer­e la competizio­ne elettorale dei prossimi mesi in una sorta di «limbo politico».

Ma qual è il limite temporale ultimo oltre il quale anche una eventuale sentenza favorevole a Berlusconi sarebbe inutile, non potendogli consentire la cosiddetta «agibilità politica»? Se, infatti, una sentenza favorevole arrivasse prima delle elezioni, ma comunque dopo la scadenza del termine per la presentazi­one delle candidatur­e, non servirebbe a nulla. Potrebbe, ad esempio, Berlusconi, in vista della sentenza presumibil­mente a lui favorevole, intanto candidarsi per non perdere dopo la possibilit­à di farlo? Il ritardo finora accumulato dalla Corte di Strasburgo sta causando una paradossal­e violazione dei ragionevol­i tempi di durata del processo. Paradossal­e, perché si consuma proprio in relazione ad un Paese, il nostro, ripetutame­nte condannato proprio da Strasburgo per la violazione della «ragionevol­e» durata del processo. Ma allora se la lentezza dei processi si ripropone in queste proporzion­i anche in Europa, quale speranza possiamo mai avere? Significhe­rebbe che siamo realmente di fronte ad un problema irrisolvib­ile, ad un sistema condannato alla sua autodistru­zione.

Ecco perché è così importante una rapida decisione del ricorso. Le soluzioni tecniche non mancano. A partire dai criteri che la stessa Corte di Strasburgo ha stabilito e che tengono conto dell’importanza e dell’urgenza delle questioni da essi posti. Tra cui, per l’appunto, quello delle «questioni di interesse generale», capaci di determinar­e «implicazio­ni sui sistemi giuridici nazionali».

Insomma, gli ingredient­i per decidere ci sono tutti. Come dire, è arrivato il «tempo»…

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy