UNA SENTENZA, DUE RIFLESSIONI
Tutti assolti. Il giallo del documento nascosto in cassaforte che doveva provare le malefatte di chi guidava Mps è finito nel nulla. Tutti assolti. Assolto Giuseppe Mussari, l’uomo simbolo dei rovesci del Monte dei Paschi. E con lui assolti anche Antonio Vigni, direttore generale della banca, e Gianluca Baldassarri, direttore dell’area finanza. C’è dunque una storia da riscrivere?
Il processo per la gestione dei derivati non è l’unico in cui sono coinvolti gli ex vertici di Rocca Salimbeni. Ma era centrale nella ricostruzione delle responsabilità che provocarono il collasso della banca dopo l’onerosissima acquisizione di Antonveneta. Le implicazioni della sentenza della Corte d’Appello di Firenze, che si è valsa anche di documenti assenti nel procedimento di primo grado (come ha raccontato ieri sul Corriere Fiorentino Silvia Ognibene), non sono però solo di tipo giudiziario. Il ciclone Mps investì la politica. Un collaudatissimo sistema di potere (il celeberrimo «groviglio armonioso senese») crollò su se stesso. Sulla banca, sulla sua ricchissima Fondazione, su tutta la trama di rapporti che legavano trasversalmente i palazzi del potere. A Siena, certo, ma con terminazioni romane. Con il Pd ex Pci al centro dei giochi, dai quali però non era esclusa neppure l’opposizione (basti ricordare la lottizzazione dei posti nella Deputazione di Palazzo Sansedoni). Il sindaco Valentini ha subito messo le mani avanti nell’intervista che ci ha concesso ieri: la triplice assoluzione, ha detto, non cancella affatto le responsabilità politiche che hanno affossato il Monte. Lo stesso Renzi, nella sua ascesa alla leadership additò il vecchio partito senese come modello negativo per la commistione con il mondo finanziario.
Due conclusioni. La prima, sulla banca senese: essere assolti per un reato che i giudici hanno ritenuto inesistente non basta per essere riabilitati come buoni amministratori di un patrimonio storico che ha corso il rischio della cancellazione totale. La seconda, sul «sistema» senese: se l’assoluzione non cancella le responsabilità politiche legate alla stagione della grande crisi, è pur vero che è nel campo della giustizia che si aprì la partita decisiva. Con la politica a incassare i colpi e a tentare di reagire, quando lo ha fatto, di rimessa. Nell’affare senese la maggiore responsabilità della politica è stata quella di non avere visto le crepe nel muro che essa stessa aveva costruito e di essere rimasta impassibile, protervamente si può aggiungere, fino all’implosione.
Come dire che Siena è stata la dimostrazione più evidente della necessità di separare non solo politica e finanza, ma anche politica e giustizia. Una politica che deve imparare di nuovo a essere la prima garanzia di buon governo. Secondo gli auspici del grande affresco di Ambrogio Lorenzetti, che campeggia nel Palazzo Pubblico. Che tutti ammirano, e che pochi copiano.