«L’emergenza? La fuga dei giovani all’estero»
L’INTERVISTA RANALDO (CONFINDUSTRIA)
«Quindicimila under 40 toscani sono andati all’estero dal 2008 ad oggi. La nostra regione ha perso così 2,5 miliardi investiti in capitale umano». Il neo presidente di Confindustria Toscana Alessio Ranaldo lancia un allarme legato alla disoccupazione giovanile. Ma mette anche in guardia la politica sulle scelte infrastrutturali e sui ritardi nei progetti: «Con quei tempi le imprese sarebbero fallite».
Aveva tre anni quando è caduto il muro di Berlino. Alessio Ranaldo, pratese, imprenditore del settore tessile, presidente da un paio di mesi di Confindustria Toscana, è una faccia nuova e non solo per l’età, ma per il suo essere post-ideologie. Forse per questo preferisce guardare alle cose da fare piuttosto che all’elenco delle questioni eternamente aperte.
Presidente, lei appena eletto ha detto che avrebbe compiuto un giro di ascolto tra le Confindustrie locali per poi varare la sua squadra: a che punto siamo?
«Ho fatto il giro di ascolto e all’inizio del nuovo anno vareremo i gruppi di lavoro tematici, principalmente per confrontarci con la Regione, dall’ambiente al turismo, dalla nautica al made in, dalla sanità alle infrastrutture: i nomi saranno scelti per competenze e non per criteri geografici. Pochi giorni fa poi è diventato operativo il nostro Digital Innovation Hub, una rete di servizi e personale per supportare e spingere le imprese verso l’industria 4.0».
Vedrà la luce entro il suo mandato, che scade nel 2021, una Confindustria regionale unica?
«Mi pare difficile, e non è una priorità. Devono prima sedimentarsi le associazioni territoriali nate dalle fusioni. Intanto però si può avere un cervello regionale sui servizi, così da risparmiare ed essere più efficienti».
Ha avuto anche incontri istituzionali?
«È stato positivo l’incontro con il presidente della Regione, Enrico Rossi, con cui abbiamo fatto una ricognizione dei principali temi dello sviluppo e della crescita».
Con Rossi ha parlato di infrastrutture? Di quelle che non si sbloccano, Tirrenica, aeroporto di Firenze, Alta velocità ferroviaria?
«Certamente. Le infrastrutture vanno fatte, aeroporto fiorentino in primis. Il Vespucci non è una questione degli industriali o degli albergatori, ma della Toscana, che è una delle aree manifatturiere più importanti del Paese. È una necessità anche ambientale, gli abitanti oggi esposti al rumore non sono cittadini di serie B e la nuova pista risolve il problema».
È arrivata la Valutazione di impatto ambientale, ma il sindaco di Sesto ha ribadito il no.
«L’ok alla Valutazione di impatto ambientale è un fatto positivo: finalmente dopo tanto tempo le cose si muovono nella direzione giusta. L’importante adesso è che la nuova pista sia realizzata in tempi certi».
Rossi ha detto che preferisce lo sviluppo di Peretola al termovalorizzatore di Case Passerini: che ne pensa?
«Che non si possono barattare le infrastrutture, non possono essere oggetto di trattativa politica. Se servono si fanno tutte e due, ed entrambe sono da tempo priorità dell’area fiorentina e non solo».
La sinistra chiede al governatore Rossi di dire no al Vespucci ampliato: riusciranno ad imbrigliarlo?
«Rossi si è impegnato in prima persona sul Vespucci e continua a farlo. Su ogni cosa c’è chi è favorevole e chi è contrario, ma la politica, dopo aver ascoltato tutti, deve decidere. E qui parliamo di progetti vecchi di decenni, vedi anche la Tirrenica. Se un’azienda qualsiasi facesse come si è fatto su questi temi sarebbe fallita da tempo».
Lei opera nelle forniture per il settore fieristico. Il futuro di Firenze Fiera, del polo della Fortezza, è un altro annoso problema. Che fare?
«Firenze ha l’unicità di un polo a due passi dal centro e deve sfruttare questa caratterista, fare rassegne e fiere di élite, non svilirsi solo per riempire i padiglioni».
Preoccupato per la convivenza dei prossimi eventi di Pitti con i cantieri della tramvia? Vanno fermati?
«No, no. Anzi, vanno accelerati. Alla Fortezza come in città, perché la tramvia una volta in funzione cambierà in meglio la mobilità e la vita. Per lo scorso Pitti, ad esempio, ho lasciato l’auto a Scandicci e sono arrivato alla stazione in tramvia. Ovviamente vanno trovare soluzioni che non penalizzino Pitti Immagine e agevolino l’arrivo degli operatori, ma prima finiscono i cantieri meglio è».
Lei è pratese: come giudica la questione cinese?
«La maggioranza dei cinesi è lontana dall’integrazione, ma con le nuove generazioni si parla e spesso si sentono più pratesi di noi. Di certo il sistema della illegalità è intollerabile, dalle tragedie nelle fabbriche siamo passati a quelle dentro le case, nonostante l’aumento dei controlli: occorre il pugno duro».
Esaote è appena passata in mano cinese: gli investitori stranieri sono un’opportunità o un rischio?
«Se tante aziende toscane sono appetibili significa che lavorano bene ed i nuovi investitori, italiani o stranieri, sono sempre benvenuti. Io ero presidente del Giovani industriali di Toscana Nord e l’arrivo di Hitachi Rail a Pistoia ha portato lavoro e valore al territorio».
Altra questione attuale: Piombino, il futuro dell’acciaieria, la lite Renzi-Rossi su chi ha spinto di più per l’arrivo di Rebrab all’ex Lucchini.
«Appunto, non vorrei che la questione fosse buttata in politica... Al centro deve stare l’industria e la produzione, che non è né di destra, né di centro, né di sinistra. Servono pragmatismo e lavoro, non ideologie o strumentalizzazioni». La ripresa c’è: e il lavoro? «Il Jobs Act è stato positivo, anche noi abbiamo assunto utilizzandolo, e la ripresa si vede. Ma resta il problema della disoccupazione giovanile, con un terzo dei ragazzi toscani che non trova lavoro. Una piaga sociale, che rischia di compromettere lo sviluppo del territorio e delle imprese, anche perché dal 2008 abbiamo perso 15.000 under 40 che sono andati all’estero a lavorare o studiare: dato che la spesa di una famiglia per l’educazione e la crescita di un figlio fino a 25 anni è mediamente di 165.000 euro si può dire che la Toscana ha perso 2,5 miliardi di euro investiti in capitale umano. È un fenomeno largamente preoccupante».
I giovani, e non solo, spesso trovano lavoro precario: è inevitabile?
«Il mondo è cambiato ed essere flessibili, disposti ad “uscire di casa” e sperimentarsi per crescere è necessario ed è un’opportunità. Ma ciò non può significare, anche per motivi etici, un eterno precariato».
L’altra faccia della medaglia è la difficoltà delle imprese nel reperire certe professionalità: come rimediare?
«Anche in Toscana il 20% delle aziende non trova i profili di cui ha bisogno ed il 30% dei ragazzi non ha competenze in lingue estere e informatica; occorre fare di più sul tema della formazione. L’alternanza scuola-lavoro è positiva, ma siamo solo all’inizio e va migliorata, dando più tempo ai ragazzi da passare nelle imprese e alle aziende supporti per seguirli».
Cosa chiedono gli industriali toscani per un cambio di passo?
«Le stesse cose che occorrono al Paese: meno burocrazia, meno tasse, un costo del personale più leggero, più efficienza, così da competere ad armi uguali con gli altri. Da noi, ad esempio, per fare un capannone nuovo servono anni per ottenere i permessi, in Belgio soltanto pochi mesi».
Così si aspetta dalle prossime elezioni politiche?
«Confindustria non fa politica, ma il grande timore è che si abbiano tre schieramenti al 30%, con un lungo periodo di incertezza che farebbe male allo sviluppo, alla ripresa e all’Italia. Vanno evitate coalizioni basate sui compromessi invece che sull’agire sui temi cruciali per il Paese. Chiediamo che l’impresa sia davvero al centro, anche dopo la campagna elettorale».
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