Sollicciano, la sfida del nuovo direttore: «Apriamo le porte del carcere alla città»
Lunedì si insedia Prestopino nel giorno del Consiglio comunale straordinario: «Grande segnale»
«Dobbiamo trovare le chiavi per aprire le porte di Sollicciano alla città». Il nuovo direttore di Sollicciano, Fabio Prestopino, sogna un carcere che non sia un corpo estraneo alla città, ma parte integrante di essa. Messinese, 52 anni, ex direttore al Don Bosco di Pisa, comincerà ufficialmente il suo mandato proprio lunedì prossimo, quando il penitenziario fiorentino ospiterà il Consiglio comunale straordinario dopo l’invito arrivato anche tramite una lettera pubblicata dal Corriere Fiorentino lo scorso 31 ottobre e firmata dal cappellano del carcere don Vincenzo Russo e da Massimo Lensi, dell’associazione radicale «Andrea Tamburi» .
«Un evento importante — ha detto Prestopino — Un chiaro segnale che la municipalità è vicina all’ambiente detentivo, e spero anche un viatico per tutto il periodo della mia direzione». Certamente un momento di forte interazione tra chi vive il carcere da dentro — come detenuti e agenti — e chi lo vive da fuori, spesso decidendone le sorti, come i politici. Secondo Prestopino, «è fondamentale che il carcere sia un luogo trasparente, una parte della città, il nuovo corso dell’amministrazione penitenziaria va proprio in questo senso». Per farlo però, serve un cambio di rotta rispetto al passato. Prestopino ha già qualche idea, come quella di potenziare il ruolo dei volontari in carcere: «È importante capire quante ulteriori risorse potranno arrivare da questo mondo». Detenuti e agenti non dovranno sentirsi isolati, e per questo il neodirettore, oltre al ruolo del volontariato, promette un impegno personale: «Amo frequentare le zone del carcere, non disdegno ascoltare personalmente quali sono gli umori dei singoli detenuti, parlare con loro anche al di fuori delle occasioni formali».
Ancora Prestopino non conosce nel dettaglio la situazione di Sollicciano, ma tra i progetti sui quali ha puntato l’attenzione c’è quello che riguarda il lavoro dei reclusi: «Abbiamo contatti con la Confindustria fiorentina, speriamo che da questa relazione possa nascere qualcosa di importante affinché sia possibile aprire una porta verso l’esterno del carcere». Un progetto importante, quello di Confindustria a Sollicciano, ideato qualche mese fa su impulso del cappellano Don Vincenzo Russo, che ha portato i vertici dell’unione degli industriali a pianificare progetti lavorativi per i reclusi. Laboratori all’interno del carcere ma anche possibilità professionali fuori dal penitenziario.
«Dobbiamo incentivare formule che portino i detenuti a lavorare soprattutto fuori dal carcere — ha detto il neodirettore — La legge lo consente e sarebbe importante soprattutto per i reclusi a fine pena». Ma Sollicciano ha problemi ancora più urgenti, come il ritardo nei lavori di ristrutturazione e la questione sicurezza, un tasto dolente che, pochi mesi fa, ha provocato l’evasione di tre detenuti. «L’ultimo giro a Sollicciano l’ho fatto due anni fa e ancora non conosco benissimo la struttura, sicuramente posso dire che ci sono criticità strutturali negli impianti, andrà inoltre rivista l’organizzazione e l’interazione con la sanità».
E poi il sovraffollamento, per Prestopino però non sembra al momento una priorità: «Sollicciano non mi pare così sovraffollato, la vivibilità mi sembra accettabile». Non tollera invece i bambini in cella: «Nella mia esperienza nelle carceri siciliane, ho incontrato tante detenute madri, è stata un’esperienza toccante e destabilizzante, ritengo che i bambini non abbiano nessuna colpa e non è giusto farli crescere in prigione». Una ragione in più per concretizzare il progetto dell’Icam, la casa famiglia per le detenute madri a Rifredi. E infine, le celle chiuse per tre quarti della giornata: «È in corso una revisione del regime custodiale chiuso, cercheremo di capire come attuarlo concretamente».
No ai figli in cella Nella mia esperienza ho incontrati tante detenute madri, è stata un’esperienza destabilizzante: i bimbi non possono crescere in prigione