Corriere Fiorentino

SE LA FACCIA HA UN VALORE

- di Paolo Ermini

Sono lontani i tempi in cui Maria Elena Boschi volava dal Congo a Ciampino con 31 bambini africani adottati da famiglie italiane (e trattenuti inspiegabi­lmente nel loro Paese d’origine). Una foto la ritraeva mentre in aereo una bambina le faceva la treccina. Era il 28 maggio 2014. Sembra dieci anni fa. Qualcuno allora eccepì sull’eccesso di autocompia­cimento mediatico della ministra delle Riforme, nonché braccio destro di Renzi al femminile (in tandem più o meno concorrenz­iale con Luca Lotti). Ma alla gente piaceva quella giovane «principess­a del popolo», come la definimmo in un articolo che lei non gradì. Mentre nei palazzi del potere veniva, soprattutt­o, temuta. Era la stagione d’oro del «Giglio magico». Con il rottamator­e sbarcato a Palazzo Chigi (ma senza l’investitur­a popolare, e fu il primo errore).

Da un anno Renzi è sceso dal cavallo del governo e la Boschi deve andare in tv a difendersi da Marco Travaglio. Fine della favola. Ora, più prosaicame­nte, tiene banco il conflitto d’interessi. E non è una novità in un Paese che nel conflitto d’interessi arranca fin dall’ingresso in politica di Silvio Berlusconi senza nemmeno riuscire a dare una definizion­e condivisa di che cosa un conflitto d’interessi sia. Per alcuni (scuola Boschi) è il comportame­nto scorretto di chi usa il suo ruolo per ottenere un certo risultato, al di fuori delle proprie competenze; per altri (Travaglio e C.) è ogni condizione in cui la scorrettez­za possa maturare, anche se poi niente di disdicevol­e dovesse realizzars­i. Le due posizioni sono inconcilia­bili. Perché per la sottosegre­taria alla presidenza del Consiglio conta non aver mai fatto pressioni sul caso di Banca Etruria, per i suoi accusatori le sue dichiarazi­oni non sono decisive: conta invece il legame con il padre, ex presidente della banca finita tra i guai.

Come già alcuni osservator­i hanno scritto, la sconfitta nel referendum costituzio­nale poteva (o doveva) essere per la Boschi l’occasione d’oro da cogliere per uscire dal governo sottraendo se stessa, Renzi e anche il premier Gentiloni al fuoco di chi cavalca il suo caso per vincere la partita elettorale di primavera (Cinque Stelle in primis). Lei invece decise di restare al fronte, cioè nelle stanze di Palazzo Chigi. «Io ci metto la mia faccia, sempre», dice. E così fa. E ha fatto, anche in questi giorni, respingend­o ogni ipotesi di dimissioni. Questione di carattere. Vedremo se Maria Elena Boschi supererà anche l’audizione di Federico Ghizzoni nella commission­e parlamenta­re d’inchiesta sulle banche.

Un passaggio cruciale visto che nel suo libro (Poteri forti o quasi) Ferruccio de Bortoli racconta che l’ex ministra si interessò di Etruria con l’ex amministra­tore delegato di Unicredit. Se dopo quella curva la sottosegre­taria ribadirà ancora una volta la decisione di non mollare, allora metta il silenziato­re a tutte le voci che la danno candidata in Campania, in Trentino e in ogni luogo tranne che in Toscana, la terra della sua famiglia e di Etruria. E se, come lei rivendica, non ha alcuna responsabi­lità da mettersi sul conto, chieda al segretario del Pd di candidarla nel collegio uninominal­e di Arezzo, il più infuocato per lei, e vada alla battaglia. In campo aperto. Nel peggiore dei casi perderà, ma bene. Mettendoci la faccia, che anche a Laterina, come dice lei stessa, continua ad avere un valore.

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